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La maestra Sandra e la sua scuola in cui si impara divertendosi
Una bella intervista tutta da leggere
La maestra Sandra e la sua scuola in cui si impara divertendosi
La maestra Sandra e la sua scuola in cui si impara divertendosi
«La mia vita è un terremoto. Sono sempre piena di cose da fare».
Esordisce così Alessandra Bonino e non si fa fatica a crederle. Immancabile rossetto rosso su labbra sempre atteggiate a un sorriso sincero, genuino, contagioso, la signora Alessandra è, per migliaia di ex bambini e famiglie di Vigliano Biellese, semplicemente Maestra Sandra. Una vita nella scuola, da studente prima, da insegnante poi. In pensione dal 2015, il suo contatto con i alunni prosegue oggi in un percorso diverso. Da volontaria presso l’Oratorio di San Quirico, sempre a Vigliano, accompagna i ragazzi nel percorso spirituale che li porterà a ricevere la Santa Cresima.
Maestra, quando è iniziata la sua avventura nel mondo della scuola?
Era il 1974 quando ebbi il mio primo incarico di ruolo a Bioglio. Avevo partecipato da neo diplomata ai corsi Robinson di quegli anni, promotori di una visione innovativa della scuola, che mi avevano dato dei punteggi in più in graduatoria. Ricordo che avevamo ricevuto l’incarico, io e le mie colleghe, di costruire un parco giochi a Pavignano utilizzando ciascuna le proprie abilità creative. Realizzammo un bazar e un pannello decorativo enorme con Paperon de’ Paperoni dipinto a mano. Così bello che qualcuno penso di trafugarlo e portarselo a casa (ride).
L’anno dopo, era il 1974, l’arrivo a Vigliano Biellese.
Esattamente. Dal ’74 al 2015 ,anno del mio pensionamento, la scuola elementare di San Quirico è stata la mia seconda famiglia. Sono stati anni bellissimi, vissuti con intensità e compartecipazione. Non c’è mai stata una mattina che io non mi sia svegliata felice di andare a scuola.
Cosa ricorda di quei primi anni di insegnamento?
Un clima e un’atmosfera bellissimi. Tutti eravamo molto collaborativi e ci aiutavamo a vicenda. Insegnanti, collaboratori scolastici, bambini, famiglie, istituzioni, tutti abbiamo collaborato per far diventare la scuola una seconda casa. Pensi che siamo state io e le mie colleghe di quegli anni a lottare per ottenere il tempo pieno già dalla prima classe. Il nostro non era puro assistenzialismo alle famiglie – che comunque era necessario quando entrambi i genitori lavoravano – ma bisogno di rendere la scuola un luogo in cui apprendere e approfondire il sapere in modo simpatico. La mattina si faceva la lezione classica, e nel pomeriggio si poteva giocare mettendo a frutto le nuove nozioni apprese.
Pochi anni dopo, era il 1980, nacque il suo unico figlio Filippo, che divenne suo allievo. Come gestì la situazione?
Non volevo che Filippo fosse mio alunno, avevo paura che mi accusassero di favoritismo. Ma nelle estrazioni che si fanno per creare le classi, il nome di mio figlio fu estratto nella mia. Fui così attenta ad essere imparziale con lui che mesi dopo una bimba particolarmente attenta mi chiese: “maestra, ma perché ogni giorno porta a casa Filippo?”. Rimase incredula quando gli svelai che Filippo era mio figlio.
Figlio unico, com’è il rapporto con lui?
Ottimo. È stato prima lui mio alunno, oggi è il mio insegnante per tutto ciò che riguarda la multimedialità. È un ragazzo molto sensibile, ha una cattedra di letteratura Francese all’Università del Piemonte Orientale a Vercelli. Ne sono molto orgogliosa. Io, Filippo e mio marito Adriano facciamo tutto insieme. Nessuna decisione viene presa prima di consultarci a vicenda.
Ad Adriano, suo marito, è legata dal 1975.
Avevo 21 anni nel 1975, quando ci siamo sposati nella chiesa di San Quirico a Vigliano. Ma in realtà conosco Adriano da molto prima. Avevo solo 15 anni e mezzo quando lo vidi sbucare all’improvviso in casa di mio zio Mario Bertagnoli che lo aveva chiamato per un restauro. Io mi trovai davanti a questo bel giovanotto che ero in bikini -stavo prendendo il sole sul retro della casa. Siamo diventati amici – è ancora oggi il mio migliore amico – ci siamo innamorati e poi sposati. Erano altri tempi. Fino a 18 anni non sono mai potuta uscire da sola con lui. Avevo un padre severissimo.
Quando ha capito che fare l’insegnante era quello che voleva fare da grande?
Da sempre. Quando da bambina mi chiedevano “Cosa vuoi fare da grande?” , avevo pronte due risposte. “La soubrette” era la prima. Sognavo di diventare una seconda Raffaella Carrà, cantare, intrattenere la gente. Al mio pubblico casalingo dicevo : “ecco a voi Alessandra Bonino”, e iniziavo a cantare Mina, Battisti. Facevo la macchietta tipo la Marchesini. Ma sapevo che la severità di mio padre non avrebbe mai permesso al mio sogno di diventare realtà. E allora ne avevo un’altra di risposta, altrettanto sentita: “Da grande voglio fare la maestra”. E mettevo le mie cugine e le mie amiche sui banchi nell’orto e le facevo esercitare nel dettato. Fare l’insegnante mi ha permesso di unire entrambe le mie passioni. Con i bambini cantavo, recitavo, ballavo, mimavo. E ho portato avanti l’idea di una scuola in cui si poteva insegnare e imparare divertendosi.
L’unica scuola che credo possibile.
Mary Caiffa
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