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Tra le righe

La memoria flebile del male assoluto

La rubrica di Enrico Neiretti

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Nel giorno della Memoria ho provato a riflettere sul significato proprio di questo termine. Un’esperienza di cui ognuno a livello individuale ha coscienza, ma anche un elemento fondante del vivere sociale, un’attitudine affatto scontata di mandare a mente le atrocità del passato con il preciso intento di fare in modo che non si possano più ripetere.

Letteratura, cinema, arte, hanno tracciato e continuano a tracciare segni che dovrebbero servire -appunto- a tenere viva la memoria di un passato drammatico che ha segnato in modo sconvolgente le pagine della nostra storia.

In modo particolare la Shoah, termine che non ha bisogno di aggettivi, il male assoluto, è un’abiezione che deve sempre essere ricordata come tale, affinché davvero non si possa più ripetere.

C’è stato forse un tempo in cui la memoria di questa tragedia era viva, e si tramandava attraverso la testimonianza dei sopravvissuti, e sembrava che l’orrore fosse attribuibile ad una follia che non si sarebbe più manifestata. Oggi, che le testimonianze si fanno più rare e flebili, oggi che paiono risorgere dalle ceneri tizzoni ardenti di un male feroce, oggi che siamo costretti a non derubricare più il male assoluto come conseguenza della follia, dobbiamo ammettere che esso è un fatto umano -La banalità del male- come il libro in cui Hannah Arendt raccontò il processo a Eichmann.

Alcuni giorni fa ho visto in TV un documentario sullo scrittore triestino di lingua slovena Boris Pahor, uno dei grandi testimoni del secolo scorso (era nato nel 1913 ed è scomparso nel 2022); un uomo che visse l’esperienza della violenza del regime fascista contro la minoranza linguistica slovena nella Trieste degli anni ‘20 e che fu poi imprigionato nel lager di Natzweiler-Struthof, in Alsazia.

Pahor fu uno dei sopravvissuti.

Negli anni ’60 tornò a visitare quel campo di prigionia e da quell’esperienza, nel 1967, nacque il romanzo “Necropoli”, le cui pagine tramettono in una lingua netta e precisa, tutto l’orrore di quella vicenda.

Sono andato a leggere alcuni passi del libro.

Riporto di seguito una parte della prefazione di Claudio Magris all’edizione pubblicata nel 2008 per Fazi Editore, che rivela alcune illuminanti immagini capaci di rendere con immensa forza l’idea dell’importanza della memoria:

Durante una visita al Lager di Natzweiler-Struthof, nel quale molti anni prima si era trovato faccia a faccia con l’orrore e l’abiezione più inconcepibili della nostra storia, Boris Pahor osserva un carpentiere che sostituisce – nel campo che è ora un luogo di memoria e di pellegrinaggio per ex deportati come lui e per turisti dell’anima più o meno realmente consapevoli di ciò che stanno vedendo – alcune assi marcite di una baracca dove un tempo avevano vissuto (se in tal caso è lecito usare questo verbo) i prigionieri. «Il mio animo», scrive, «si ribellava a quelle toppe bianche frammiste alle assi annerite, dilavate e consunte; non tanto per il colore, perché sapevo che quell’operaio avrebbe ridipinto le nuove assi rendendole uguali alle vecchie; semplicemente non potevo sopportare la presenza di quei pezzi di legno grezzo piallato di recente. Era come se qualcuno cercasse di inoculare cellule fresche e viventi in un putridume morto, come se qualcuno innestasse una gamba bianca in un mucchio di mummie annerite e appiattite. Ero per l’intangibilità della dannazione. Ebbene, ora non riesco più a distinguere i pezzi aggiunti; il male ha fagocitato le nuove cellule impregnandole col suo putrido succo”

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1 Commento

1 Commento

  1. Sonia ganz

    31 Gennaio 2024 at 18:56

    dei biellesi, quasi del tutto cancellati, cosi’ come i piemontesi, sostituiti da……………. eh, non posso dirlo, nessuno parla ???? han fatto grande biella, quelli venuti dopo l’ hanno spolpata e resa moribonda, nessuno parla ???? dei ricconi sindaci con 2 o 3 lavori che spendono milionate x ogni cosa eppure non c’ e’ piu’ un cm quadrato di strade o marciapiedi a posto, quasi zero servizi a prezzi da emirati arabi, nessuno parla ????

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