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Vi racconto le mie giornate da postina

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Il diario di una  studentessa diventata portalettere.

Non voglio fare un inno ai postini. Voglio fare un inno al valore di mettersi in gioco.

E’ passata una settimana da quando mi sono infilata quello strumento di tortura color canarino fluorescente che è la tenuta di ordinanza del portalettere. Due mesi di lavoro estivo incastrati tra gli ultimi annoiati esami dell’università.

Mi sono presentata con il casco per la moto e mi hanno messa alla guida di una ruspante Panda. Ero preparata alla poesia delle lettere profumate di storie, immersa nell’immaginario romantico di Troisi che porta la corrispondenza volando sulla bicicletta, e mi sono trovata a fare rally in mezzo alle frazioncine masseranesi.

«I primi giorni potrete fare un po’ tardi», avvertono al primissimo colloquio. «Ma quanta posta vuoi che arrivi nel 2015!» è la comica convinzione con cui il primo giorno entri tutto tronfio in ufficio.

E alla fine sono le sette di sera contro le tre del pomeriggio dei colleghi anziani e tu sei ancora lì ad arrancare per le vie del centro, dopo aver sbagliato 14 volte strada e aver fatto la guerra con numeri civici deliranti e cassette delle lettere imboscate come in una caccia al tesoro.

Le vecchiette del paese  cominciano a sprigionare benevolenza di nonna da tutti i pori e quasi ti invitano a cena mantenendosi a distanza, visto che a quel punto sei abbastanza sudata da scivolare come una saponetta.

Non ho intenzione di fare classifiche di dignità o difficoltà o serietà. Qualunque lavoro è a modo suo complicato, per certi versi faticoso, per una qualche ragione fondamentale. Di sicuro tutti i panni che decidiamo di vestire fanno di noi persone più ricche. Anche se costringono a una sauna fosforescente.

Gaia Quaglio

 

La prossima puntata di “Vi racconto le mie giornate da postine” sarà pubblicata su La Nuova Provincia di Biella in edicola mercoledì 22 luglio

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