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Penitenze quaresimali: le banche chiuse

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Ripenso alla difficile Quaresima di tre anni fa, nel pieno della crisi post elettorale in Costa d’Avorio che durò dal ballottaggio del novembre 2010 a metà aprile del 2011. Nel frattempo ho cambiato regione di lavoro, e mi vengono in mente tanti brutti –ma costruttivi- ricordi di come vissi in quel periodo: cioè oltre la giusta penitenza, ben al di là di una Quaresima «normale». Guardo i miei appunti del 20 marzo 2011.

Ripenso alla difficile Quaresima di tre anni fa, nel pieno della crisi post elettorale in Costa d’Avorio che durò dal ballottaggio del novembre 2010 a metà aprile del 2011. Nel frattempo ho cambiato regione di lavoro, e mi vengono in mente tanti brutti –ma costruttivi- ricordi di come vissi in quel periodo: cioè oltre la giusta penitenza, ben al di là di una Quaresima «normale». Guardo i miei appunti del 20 marzo 2011. Tra l’altro:  tutte le banche (compresa quella centrale) erano chiuse da ormai un mese, e anche tutti gli uffici collegati o paralleli, che permettevano il regolare va e vieni di denaro dentro e fuori i confini del Paese. I pessimisti di allora, cioè i realisti visti col senno di oggi, avevano fatto la fila a tempo per ritirare quel che avevano: con una certa moderazione, perchè metterli sotto la pianella di casa non era il modo migliore per vivere sonni tranquilli in un periodo di tale incertezza. Un cartello avvisava che le porte erano chiuse, senza dire se e quando avrebbero riaperto. 

Tornammo al contante, gli assegni erano carta straccia, fuori uso i lettori delle carte di credito, ovviamente vuoti i bancomat. Tutto il circuito finanziario andò in frantumi: lo slogan dell’epoca era «vivrai di quello che hai in tasca e che sei riuscito a mettere sotto la pianella» e il carosello fu che «io non pago te perchè chi doveva pagare me non ha potuto farlo perchè non è stato pagato a sua volta» e via di questo passo in una catena lunga quanto il giro del mondo. Negozi e imprese chiusero, i supermercati si svuotarono di merce, gli uffici di clienti e il borsellino della questua domenicale in chiesa a pesare che di rare piccole monetine. 

Fu il tempo dei licenziamenti, famiglie sul lastrico e altre ancora più povere di quanto già non lo fossero prima. Nessuno aveva quasi più niente da fare e più nulla da dare. Oltre la giusta penitenza: poco carburante per i pochi chilometri da qui a li e non di più; economia di luce, acqua e telefono nell’incertezza di poter pagare le bollette; rinuncia al cibo superfluo e persino scarsità di quello che prima era abitudine avere in casa; rarità di medicine ormai a prezzo triplicato; per non parlare di quelle robe da ricchi come i giornali, gli abbonamenti alle televisioni, i viaggi, i week end, i ristoranti, le sale da ginnastica. «Oggi facciamo attenzione a cose che neppure immaginavamo fino a ieri» diceva chi era riuscito a prendere l’80% del salario di febbraio ma che non era certo di quello di marzo. Penitenze che resero i poveri ancora più poveri, e indussero tutti gli altri a riflettere sull’essenziale della vita e sui veri bisogni per tirare avanti. Una penitenza oltre misura che ci rese tutti più forti!

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