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Ci attende un autunno tremendo, dobbiamo muoverci

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L’autunno che ci attende rischia di essere fra i più caldi che noi piemontesi, noi italiani, ci troveremo ad affrontare. Non è più tempo di leggende, quelle che narravamo e spacciavamo come vere ai figli nostri e della nostra terra, sull’isola felice. Non è neppure il tempo di rimpiangere i bei tempi andati, con la nostalgia dettata dall’età che avanza. Non ho la sfera di cristallo, ma ciò che vedo oggi sull’immediato orizzonte è uno scenario di crisi profonda, di quelle che rischiano di condurre a tempi inaspettati, cupi e duri. Ciò che oggi sta accadendo nel Biellese è soltanto la punta dell’iceberg di una condizione di malessere generalizzato. Strade in declino senza manutenzione, erbacce ovunque, scuole che rischiano di restare la freddo, posti di lavoro persi, Comuni che faticano ad offrire i servizi e che faticheranno sempre più perché le necessità aumentano e i trasferimenti dello Stato diminuiscono. E di fronte a tutto ciò qual è l’atteggiamento generale? E’ un continuo spostare il problema un passo più in là, possibilmente all’infinito. Il Comune soffre e c’è la Provincia, la Provincia non ha più risorse ma c’è la Regione e se anche la Regione non ce la fa più, perché deve pagare debiti a sua volta del passato, allora c’è lo Stato. E via discorrendo e procrastinando. Mi accorgo, probabilmente da un osservatorio privilegiato, che è molto chiaro il senso della necessità incombente, ma non altrettanto chiaro, il senso del limite.

Lo scenario economico è piuttosto trasparente e senza allarmismi va valutato per capire quanto sia necessario cambiare marcia: la situazione economica è seria, con il Pil del secondo trimestre a -0.2 (tornando a livelli del primo trimestre del 2000), l’Italia è entrata tecnicamente in recessione. Ma non dobbiamo lasciarci sommergere dal pessimismo. Per stimolare il sistema economico si può intervenire attraverso la politica monetaria (Banca Centrale, Bce) e attraverso la politica fiscale (Governo). La prima è in mano all’Europa per il fatto stesso che siamo nell’euro e abbiamo deciso di rispettarne i parametri, ossia debito al di sotto del 60% e deficit al 3%. Sulla politica fiscale invece abbiamo possibilità di stimolare la ripresa attraverso la spesa pubblica. L’aumento di quest’ultima fa aumentare le esigenze di bilancio, creando deficit e debito, una condizione da evitare certamente, tuttavia sulla spending review c’è ampio margine d’intervento.

E le parole d’ordine devono essere riduzione, riqualificazione e semplificazione.

Tre concetti semplici che, assieme, possono davvero far ripartire il lavoro, le produzioni, la crescita che dobbiamo perseguire con determinazione. Dobbiamo cogliere l’opportunità di riformare concretamente per consentire al nostro Pil di riprendere la salita. Dobbiamo ripartire come sistema Paese, creare le condizioni perché gli scenari attuali diventino un brutto spauracchio e nulla più. È il tempo di risollevare la testa, con l’umiltà e l’orgoglio di pensare a come assumerci la responsabilità del futuro che vogliamo o, più correttamente, vorremmo.

Soprattutto, smetterla di essere diffidenti nei confronti del cambiamento, perché il cambiamento è inevitabile. Per fare questo dobbiamo scrollarci di dosso quell’isolamento culturale che pensavamo potesse proteggerci e che invece ora ci sta condannando. Dobbiamo riflettere su come poter diventare parte attiva del tutto, accettando le condizioni, trasformandole in necessità e opportunità. A qualunque livello. Smettiamo, finché la situazione generale ce lo consente, di spostare il problema e rimandare le scelte. Riformiamo iniziando con il riformare il nostro pensiero. Non arrocchiamoci trattenendo con le unghie un passato che non può tornare. Dobbiamo ben distinguere i diritti dai privilegi e farci parte attiva di una comunità votata al cambiamento: sociale, economico e, per usare un termine di moda, Prima che il mondo cambi e ci cambi lui.

Vittorio Barazzotto

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