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Chi sono gli assassini della città?

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Ciò che non mi uccide mi rende più forte. E’ una frase/concetto culto, scritta nel 1888 da Friedrich Nietzsche in una parte della sua opera “Il crepuscolo degli idoli”. Citatissima, spesso a sproposito, per marcare in modo più o meno consapevole un superomismo da barsport. O, come nel mio caso, per cominciare a trarre una conclusione consolatoria dopo cinquanta giorni di degenza ospedaliera, tre interventi chirurgici, ettolitri di farmaci inoculati attraverso ogni orifizio naturale o prodotto, e alla vigilia dell’ingresso in altri tunnel della malattia sul fondo dei quali voglio vedere la luce.

Ciò che non mi uccide mi rende più forte. E’ una frase/concetto culto, scritta nel 1888 da Friedrich Nietzsche in una parte della sua opera “Il crepuscolo degli idoli”. Citatissima, spesso a sproposito, per marcare in modo più o meno consapevole un superomismo da barsport. O, come nel mio caso, per cominciare a trarre una conclusione consolatoria dopo cinquanta giorni di degenza ospedaliera, tre interventi chirurgici, ettolitri di farmaci inoculati attraverso ogni orifizio naturale o prodotto, e alla vigilia dell’ingresso in altri tunnel della malattia sul fondo dei quali voglio vedere la luce.

 

Cosa, in questa esperienza che sto condividendo con l’amico Omar Ronda il quale la settimana scorsa ci ha commossi e positivamente scossi con il racconto del suo duello con il tumore, ci “rende più forti”? La constatazione che il nostro mondo, o quantomeno una parte importante di esso, è molto migliore di come, per vena polemica, io l’ho raccontato in mezzo secolo di attività di scrittura. I presidi sanitari (ospedale, clinica) della nostra città, il personale sanitario che li fa funzionare (medici, tecnici, infermieri) che per tutta la vita sono stati fra i miei maggiori bersagli per descrivere lo spreco, il malaffare, l’inefficienza, ho scoperto essere tutt’altro: luoghi in cui i sommersi, molti, vengono salvati da uomini e donne dotati di preparazione, talento e cuore.

 

In alcuni casi eroi solitari (lo dico senza enfasi) che devono assumersi la responsabilità di dove, come e quanto affondare il bisturi che potrebbe ridare la vita o accelerare la morte. Ad uno di loro, divenuto amico e fratello e a cui devo due o tre vite, chiedo perdono come rappresentante di tutti.
Non perdono, anche per le ragioni di cui sopra, il sindaco Marco Cavicchioli, che ha descritto Biella e i biellesi “ad encefalogramma piatto”, morti, andati, pouff.

 

Poi ha cercato di metterci una pezza parlando di “una provocazione”. In effetti questa provocazione gira da anni sulla rete e sui giornali. E lo è, una provocazione, se a farla sono gazzettieri come me e/o cittadini più o meno incazzati e delusi e spaventati. Se la fa un sindaco si chiama in modo diverso: stronzata. Mi permetto di chiedere a Cavicchioli di attivare il suo estro investigativo e di raccontarci chi è l’assassino di questa città. Se fosse lui e quelli che l’hanno preceduto ? Se i veri morti, per non aver mai vissuto, fossero loro?

 

giulianoramella@tiscali.it

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