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A Natale quanto siamo buoni

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Quanto siamo buoni in vista dell’imminente Natale (che sì, per alcuni è anche minaccia imminente nel campo delle emozioni e del traffico cittadino), lo abbiamo scoperto dagli articoli di cronaca e dagli inevitabili rimbalzi social. 

Quanto siamo buoni in vista dell’imminente Natale (che sì, per alcuni è anche minaccia imminente nel campo delle emozioni e del traffico cittadino), lo abbiamo scoperto dagli articoli di cronaca e dagli inevitabili rimbalzi social. Abbiamo cominciato a scoprirlo quando le forze dell’ordine sono state chiamate a intervenire nei pressi dell’ingresso di alcuni supermercati di città e della Bassa per vero o presunto atteggiamento intimidatorio dei questuanti presenti. Insomma: alcuni clienti e alcuni gestori, invertendo l’ordine dei fattori il risultato non cambia, si sono lamentati delle pressioni – fisiche, psicologiche? – di chi chiedeva l’elemosina sulla porta degli esercizi commerciali. Forse abituati, anche a casa loro, a spazzare lo sporco sotto al tappeto, hanno preteso delegare ai Carabinieri il servizio di pulizia.

 

Intendiamoci: non sto assimilando chi chiede l’elemosina allo sporco, ma bensì il problema di cui loro sono espressione. Chi ha denunciato il fatto pensa forse, eliminando alla sua vista i mendicanti, di eliminare la miseria che li affligge, non conscio di stare, con tutta probabilità, evidenziando invece la propria miseria umana. Viviamo un contesto sociale in cui la povertà è bandita e i banditi sono i poveri. Ci siamo convinti che non esista un peggio e, per questo, non ce ne facciamo partecipi. Per assolversi dall’indifferenza alcuni segnalano la possibile esistenza di un racket a gestire la questua. Ma ancora la cronaca, attraverso un’encomiabile inchiesta sulla questione pubblicata da Il Biellese, la smentisce con un’intervista al questore che fuga ogni dubbio: “Nel Biellese non esiste”.

 

Ecco. Esiste invece l’imbarazzo di guardare negli occhi questa miseria che è la difficoltà di vivere, e ci attende all’uscita di un negozio. Per questo, nella maggior parte dei casi, ci allontaniamo a occhi bassi bofonchiando scuse incredibili, a noi stessi e al mondo, sul perché proviamo quel fastidio e sul perché non scuciamo nemmeno quell’euro di resto. Esistono una storia e una geografia dell’elemosina e della miseria, che escono dalla dimensione favolistica della buona azione per trasformarsi in consapevolezza sociale. Che il Natale sia consapevolezza, quindi. E non rifiuto delle realtà che non sono le nostre. Che il Natale non sia nemmeno somma d’isolati gesti di autoassoluzione. Che non servano più altri articoli di cronaca, come quello recentemente apparso anche sulla stampa nazionale, in cui si descrive la semplicità di chi staziona a mendicare di fronte a un supermercato, trova un portafogli e lo consegna al suo proprietario perché è giusto farlo. Così come non è sbagliato chiedere aiuto nel momento del bisogno. E proprio per questo, in questi giorni lieti, dovremmo essere noi a chiedere l’elemosina: di quell’umana pietà e solidarietà che ci siamo persi per strada, lungo la nostra storia.

 

Lele Ghisio

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