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Pausa Caffè

Le origini del disagio dei pendolari

Pausa Caffè: quando a Biella perdemmo il treno e le opportunità di “diversificazione”

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Certo, ci sono stati tempi in cui si respirava un’aria più vivace, c’era qualche locale ove si poteva ballare, c’era qualche bar alla moda ove i giovani si affollavano, c’era un centro storico ove bastava passeggiare per incontrarsi, ma bastava anche il passeggio per il piacere di stare insieme

BIELLA – Qualche pendolare, presunto o meno, intervenendo sul mio ultimo commento relativo all’opportunità di realizzare il peduncolo autostradale in direzione Ghemme, ha ripreso il pianto antico delle opportunità lavorative che Biella ed il Biellese non offrono, costringendo tante persone a quotidiane e disagevoli trasferte a Milano o nel Novarese per raggiungere il posto di lavoro.

Tralascio il misero frasario di alcuni soggetti (pochi in verità, tra i molti consensi) che sui social, più che le loro argomentazioni, vomitano le loro frustrazioni e mi chiedo quante sono le persone, tra quelle oggi giustamente indignate per le carenze occupazionali che affliggono il Biellese, che conoscono le ragioni di tanto disagio.

C’è una parola che per decenni ha suscitato in tanti biellesi, soprattutto quelli dediti ad attività imprenditoriali, pruriti allergici insanabili: diversificazione.

Qui c’era il comparto tessile e doveva esserci solo quello, perché funzionava alla grande, perché dava lavoro a tutti, perché produceva stoffe ricercate in tutto il mondo, perché noi eravamo quelli che non avevano bisogno di nessuno, perché erano gli altri che venivano a cercarci. Inoltre, vista con gli occhi dei padroni del vapore, la diversificazione avrebbe rischiato di portare nel Biellese altre attività industriali i cui addetti potevano godere di trattamenti contrattuali più favorevoli. Quindi, meglio evitare imbarazzanti paragoni e che qualcuno si mettesse in testa strane idee.

Non mancarono in epoche diverse opportunità di portare nel Biellese altre attività, ma si fece sempre in modo che queste trovassero porte ben sprangate. Finchè, un giorno, spuntò il fenomeno Giorgio Aiazzone che risultò subito ingombrante. Televisioni, pubblicità, un megamobilificio con fatturati alle stelle e quel “provare per credere” quasi irritante, mentre in giro per l’Italia, Biella veniva sempre più identificata come “la città del mobile” e non più come il distretto tessile. Aiazzone dovette iscriversi nei club “di servizio” milanesi per farsi accettare, come ospite, da quelli biellesi.

La sua fu un’esistenza breve e quando morì tragicamente credo che molti trassero un sospiro di sollievo.
Senza di lui il comparto tessile poteva tornare a gonfiare il petto. Ma il declino del settore stava iniziando e sarebbe stato un declino sempre più rovinoso. Tanto da non poter più fornire a migliaia di biellesi quelle opportunità occupazionali garantite per decenni.

Probabilmente la diversificazione, così come avvenuto in altre zone d’Italia, avrebbe potuto attenuare gli effetti del disastro. Ma sarebbe stato necessario pensarci prima, molto prima. Forse con maggiore umiltà.
Ed un briciolo in più di onestà intellettuale.

 

Giorgio Pezzana

1 Commento

1 Commento

  1. Agnese coda

    23 Febbraio 2023 at 12:16

    L’on. Pichetto farebbe bene a interessarsi per collegamenti veloci von Milano e Torino. Lo chieda al suo collega Salvini l’uomo dei miracoli. Per il resto sono d’accordo con lei

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