Biella
Lei non sa chi sono io: Giorgio Meschiatis
La rubrica con cui Edoardo Tagliani racconta i titolari delle vie cittadine

Di lui ne scrissero in parecchi, tra i quali anche Pietro Torrione, già protagonista di una di queste piccole rubriche.
Per altro, anche don Oscar Lacchio su “Rivista Biellese”, quando riportò un breve estratto del testo originale “Il Beato Agostino De-Fango da Biella, premessi alcuni cenni su altri biellesi morti in odore di santità”, scritto da Davide Riccardi e stampato nel 1874 dalla mitologica tipo-litografia A. Amosso.
Giorgio Meschiatis, il cui nome si perde tra le stradine appena a sud di via Rigola che ospitano da tempo capannoni, magazzini e fabbriche (siamo dalle parti dello spaccio Bellia o, se preferite, Liabel), fu persino un inquisitore. Ma altro fu il gesto forse più eclatante della sua vita che, in qualche modo, toccò la storia biellese. Un inquisitore che consacrò con “santo abito” nientemeno che Gerolamo Savonarola.
Nato in un non meglio precisato giorno, mese e anno dell’inizio del XV secolo da nobilissima famiglia biellese e trovata la sua strada di fede come Domenicano, il Lacchio riporta che “fu anche inquisitore e vicario generale della provincia lombarda (…) morì a Biella, santamente, nell’anno 1480”.
Il testo originale affonda con più campanilistica fierezza: “Dopo aver con mano forte governati vari conventi in qualità di Priore (…) il Coda afferma essere stato inquisitore Generale della Marca, del Genovesato e della Lombardia, gran terrore agli eretici”.
Eppure fu lui, Giorgio Meschiatis, che il 26 aprile del 1475 mise il sacro abito sulle spalle di Fra Gerolamo (o Girolamo Maria Francesco Matteo, a seconda delle fonti) Savonarola. Esistono anche fonti non biellesi che citano il nostro come “Fra Giorgio da Vercelli”, ma noi sappiamo che son menzogne. L’inquisitore ce lo teniamo stretti, anche per questioni carnascialesche.
Chissà che avrebbe pensato, l’intransigente domenicano di origini biellesi, se fosse sopravvissuto qualche anno in più, sino al 1498, quando il Savonarola che da lui venne ufficialmente investito, sarebbe prima stato scomunicato dal Pontefice Alessandro VI e poi bruciato vivo sul rogo come eretico e scissionista.
Il destino, a volte.
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