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Gli Sbiellati

Giovani già invecchiati male

Gli Sbiellati di Lele Ghisio

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Fonzarelli di provincia

BIELLA – Niente di nuovo sul fronte occidentale. È il romanzo di Erich Maria Remarque che, dopo la sua esperienza al fronte della Grande guerra (il romanzo uscì a cavallo tra il 1928 e il 1929), sentì l’urgenza di raccontare l’abominio della guerra, di quella e di tutte.

Fu, ed è ancora, un romanzo di grande successo mondiale da cui vennero tratte, a più riprese (!), diverse versioni cinematografiche. L’ultima vinse quattro premi Oscar all’ultimo giro e ora è disponibile sulle piattaforme di streaming. Il successo che ne derivò, da libro e film, trasformò nel tempo il titolo in allocuzione diffusa, per significare il nulla di nuovo di qualsiasi situazione anche fuori dal contesto bellico. Viene quindi spesso utilizzato per significare la banalità di un evento, che alcuni strombazzano indignati, ma che in realtà non presenta elementi di riflessione che non abbiano il sapore di un già visto e già sentito, insomma un evento che rientra nella norma già ampiamente discussa.

La storia prendeva le mosse dalla vicenda di studenti che, indottrinati a dovere, si arruolarono in un impeto di miope patriottismo per finire molto male. A questo viene da pensare se parliamo di una rivendicazione studentesca che da qualche giorno tiene banco in città. Niente di cui non dormire la notte, ma qualcosa per cui poter dire: all’Ovest niente di nuovo. Nel senso che la vicenda né mi stupisce né m’indigna particolarmente. Il motivo si potrebbe descrivere con altri mille luoghi comuni, ma il succo è che da un territorio intento storicamente a rimirarsi l’ombelico non può nascere certo qualcosa di radicalmente diverso dalle nuove generazioni.

La lettera diffusa ai media da un gruppo di studenti di Città Studi – resta da capire quanto rappresentativi dell’insieme – lamenta la difficoltà di trovare parcheggio nei pressi della cittadella universitaria locale a causa della presenza della fiera di maggio. Un insopportabile gne gne, che troverebbe solo qualche scampolo di senso se si trattasse – magari! – di provocazione situazionista. Un’azione provocatoria per ridere del conservatorismo e dell’attitudine alla lagna che ci contraddistingue. Temo non sia così; temo sia da prendere invece drammaticamente sul serio. E sul serio riderne, fino a seppellire l’iniziativa e i suoi promotori. Troppo spesso i giovani sono travolti dall’esasperato giovanilismo dei vecchi, quelli che ne esaltano le potenzialità solo grazie al fattore anagrafico, ma che ha sempre il sapore di interessata condiscendenza. I giovani non sono una risorsa, ma lo possono certamente diventare per il futuro. A patto che: la scuola funzioni, la famiglia funzioni, le istituzioni funzionino, che il mondo non sia quest’accrocchio che gli stiamo presentando.

Altrimenti i figli del complottismo saranno, con tutta probabilità, complottisti e i figli di chi si lamenta di non trovare parcheggio si lamenteranno di non trovare parcheggio. Il tutto in un afflato di surrealtà inconsapevole, e questo è già una colpa, giovani o vecchi che siamo. Perché la realtà è fatta d’altro: di studenti fuori sede che protestano per il caro affitti; di studenti che in Iran protestano, e muoiono, per la libertà; di studenti che hanno a cuore la salvaguardia dell’ambiente.

La sensazione è che questi, invece, immaginino il futuro della nostra città, e del nostro Paese, come un grande parcheggio di fronte alle facoltà perché devono arrivarci in auto, che per loro «è maggiore l’esigenza di poter venire serenamente, senza dover parcheggiare a centinaia e centinaia di metri di distanza».

Su una cosa hanno una ragione sacrosanta, e lo abbiamo più volte sottolineato: il trasporto locale è insufficiente e inefficiente. Raggiungere Città studi dalla stazione è praticamente impossibile, e lo è da qualsiasi parte della città. Questo anche grazie al fatto che si è deciso di delocalizzare in periferia il polo studentesco (accostandolo a cimitero e carcere); per farne sì un modello, ma anche per devitalizzare il centro cittadino. Con l’aggiunta di una maldestra intenzione: quella di offrire agli studenti locali la possibilità di studiare senza spostarsi e non quella di attrarre giovani da altrove.

Certo che c’è da lamentare una fuga di cervelli ma, al contempo, c’è da lamentare il fatto che quelli rimasti forse non sono quelli giusti, quelli funzionali allo sviluppo e al futuro del nostro territorio. Certo che ha senso mandare altrove i nostri giovani a studiare, affinché tornino con più idee e meno piagnistei. Ché nostra patria è il mondo intero, e sarebbe ora di capirlo. Anche perché vorrei conoscerli, quegli studenti che “se ne sono scappati dal nostro territorio” perché, nel mese di maggio, non riuscivano a parcheggiare giusto di fronte all’Università. Un privilegio che non è garantito in praticamente nessuna facoltà universitaria delle grandi città. “Choosy” o “bamboccioni”? Entrambi? Da non crederci.

Lele Ghisio

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