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Con l’aria di montagna la dieta ci guadagna

Gli sbiellati, la rubrica di Lele Ghisio

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Fonzarelli di provincia

Si sa che la vita amministrativa è vissuta dai suoi protagonisti, compresi pubblico e comparse, con inevitabile pessimismo e fastidio. Soprattutto legato all’altrettanto inevitabile esercizio e smaltimento di riti e burocrazie, con le quali si è tentato nel tempo di dare un ordine al funzionamento degli organismi democratici. Altrimenti sarebbe il caos, visto che gli attuali amministratori, d’ogni ordine e grado e colore, danno spesso segni d’intemperanza e insofferenza per regole e confronti civili. I talk di una televisione in declino ce ne hanno dato ampia prova nell’arco degli anni in cui la politica si è fatta spettacolo, anche se molto meno divertente di un comico che non fa ridere.

In ogni caso, tra giovani consiglieri comunali, c’è ancora chi s’arrovella nella propria cameretta – in attesa di ascendere alla Camera – con domande esistenziali del tipo: “Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?”. E poi opta per mettersi vicino a una finestra di profilo in controluce. Con una mozione qualsiasi.

La mozione è quell’azione politica che fa fine e non impegna, in tutti i sensi, quello amministrativo compreso, con la quale si chiede al Consiglio se è d’accordo che ci si impegni sulla tal cosa: è una paginetta che si può scrivere di sera, quando ci si rilassa non guardando “Che tempo che fa” in tv. In genere due righe di banalità politichesi: un linguaggio per eletti in ogni senso, un po’ come i verbali dei carabinieri o l’avvocatese pretestuoso di sentenze e memorie; lingue morte che nessuno parla e che questi scrivono per inerzia, come già osservava Carofiglio in un suo illuminato breviario di scrittura civile.

Insomma, una mozione non impegna: basta trovare un argomento sufficientemente condiviso, la si fa protocollare e poi la si manda ai giornali con un comunicato stampa che certifichi l’esistenza in vita – amministrativa – dell’estensore. Poi, che il Consiglio comunale la voti o meno poco interessa, ma se si è sufficientemente accorti spesso si porta a casa anche un’ecumenica unanimità.

È il caso dell’ultima mozione “discussa” dal nostro Consiglio comunale. La quarta, quest’anno, e la seconda che la stessa forza politica presenta a tema alimentare. Non è ancora il caso di indagarne le ossessioni, ma qualcosa vorrà ben dire anche se non sappiamo cosa. Quello che di questa mozione ha catturato l’attenzione non è tanto il tema, l’uso nelle mense scolastiche della farina d’insetti, quanto il commento che alla stessa mozione il primo firmatario ha dispensato ai giornali per comunicarla e comunicarsi: «Niente hanno a che fare con la nostra dieta alpina e con le nostre tradizioni e abitudini culinarie».

Non nego che alla lettura della locuzione “dieta alpina” sia fiorito un sorriso, più che altro perché ho pensato a quanto potesse essere alpina la mia, di dieta. E poi la solita lagna sulle tradizioni e abitudini culinarie. Mi chiedo come si possano conciliare le pizzerie presenti in città con la dieta alpina. E anche con le nostre tradizioni, a dirla tutta. Ma quando e dove comincia una tradizione? Qual è il limite – temporale, geografico – che la definisce? E quando è solo sterile e persino patetico passatismo?

La nostra dieta alpina suppongo comprenda la polenta concia che magari non servirei a pranzo nelle scuole, ma che comunque in genere facciamo con la farina di mais. Un cereale che prima che Colombo scoprisse per caso l’America neanche sapevamo che esistesse. Poi, l’abbiamo provato e ci è piaciuto. Ci abbiamo pure inventato piatti peculiari della nostra… tradizione.

Siamo stati diffidenti anche nei confronti del pomodoro e della patata, quando gli spagnoli ci dissero d’averli importati dalle Americhe: per un po’ li abbiamo solo guardati senza mangiarli, poi li abbiamo provati e sono diventati protagonisti della nostra cucina. Se anche allora qualcuno avesse firmato mozioni per bandirli non so come sarebbe finita con pizze, pasta al sugo e pizzoccheri, se la tradizione e l’appartenenza culturale fossero state davvero l’unica religione.

Va bene il ragionamento sul consumo di prodotti a km zero, ma la demagogia sulla dieta alpina fa tornare a sorridere. Anche RaiTre ha più volte trasmesso un documentario di Luigi Ceccarelli con quel titolo, ma l’intenzione narrativa era ben altra, evocativa com’era dell’asprezza di una vita passata tra i monti. C’è pure chi ha tentato un ardito ossimoro proponendo una “dieta mediterranea alpina”, che però si è dissolta in poche voci sui motori di ricerca.

Insomma più che imbellettarsi del fatto che Biella sia il primo comune a vietare nelle mense scolastiche ciò che in realtà già era vietato, con una mozione quindi inutile, ci sarebbe appunto da chiedersi perché altre città non abbiano provveduto. E la risposta non è confortante e la possiamo canticchiare così: tu chiamale, se vuoi… mozioni!

Lele Ghisio

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1 Commento

1 Commento

  1. Pier Giovanni Malanotte

    6 Giugno 2023 at 11:44

    Mi è tornata alla memoria la tradizione romana del mancipium.
    Devono pur fare qualche cosa_____
    Ho letto l’articolo su Cuneo capitale del Piemonte ed ho visto l’incremento percentuale del turismo
    Non aveva Biella vocazione turistica ? potremmo mandare a scuola______

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