Gli Sbiellati
Altro giro, altro regalo
Gli sbiellati, la rubrica di Lele Ghisio
BIELLA – “È giunta mezzanotte, si spengono i rumori, si spegne anche l’insegna di quell’ultimo caffè”.
Al di là dei botti delle bottiglie stappate dal vincitore di turno, il dopo elezioni porta sempre con sé la poetica, e in qualche modo confortante, atmosfera di una canzone immortale. Confortante per il suo silenzio dopo tanto rumore per nulla. Poetica nella sua malinconia, che accomuna e accumula le delusioni e le sconfitte di chi non ce l’ha fatta.
Vecchi frack, indossati per l’occasione con bastoni di cristallo e papillon di seta blu, galleggiano ora sul fiume silenzioso dopo aver detto addio al mondo, almeno fino alla prossima tornata elettorale.
Le parole al vento, quelle che campeggiavano su manifesti virtuali o meno, che ci riempivano la cucina uscendo dalla tv, che saltavano agli occhi mentre ci incartavamo le uova se ne scendono pure loro sotto i ponti verso il mare, per farsi ricordi del passato e sogni mai sognati.
Restano le analisi da chaise longue degli sconfitti e i già meno reboanti proclami dei vincitori. Restano i distinguo inevitabili e le certezze maturate a posteriori. A noi, quelli che faticano a trovar posto dentro a una metafora, resta invece la vita vera da vivere e resta da capire come poter tirare avanti a prescindere.
Anche qui in città, ogni volta è lo stesso teatrino. Ogni volta che le elezioni si fanno “politiche” e quindi si allontanano dalla sfera amministrativa locale, sulla quale si esercita ben altro tipo di retorica propagandistica. Ogni volta la stessa recita, perché quella del teatrino non è una metafora. I candidati locali si calano nel personaggio, che ha sempre la stessa parte in commedia e la sceneggiatura è sempre uguale, colma di parole già dette: l’impegno per il territorio e blablabla. Le solite dichiarazioni pre e le solite dichiarazioni post. Per cui vota uno o vota l’altro, in superficie pare più o meno la stessa cosa, e pare più o meno la stessa cosa anche alla resa dei conti.
Dovremmo smetterla. Dovremmo smettere di pensare che avere un parlamentare nostrano possa portarci chissà quali benefici. Più di quattro anni con cinque parlamentari (cifra record!), di cui un ministro e un vice-ministro, e vi pare sia cambiato qualcosa per il territorio? Ferrovie e Pedemontana, giusto per girare il coltello nella piaga, anche se mi si dirà: il Covid, la guerra, il gomito che fa contatto col piede…
Il problema vero è un’aspettativa in eccesso, che non dovrebbe essere giustificata però accade comunque. Perché è naturale che una volta perse le ideologie si diffondano le vane promesse. Perché, in quel mondo a parte che sono le campagne elettorali, le cose da dire sono già state tutte dette e i margini reali delle proposte sono ormai ristretti dal contesto. Battersi per i valori non è la stessa cosa che battersi per i voti.
Quell’aspettativa di cui dicevamo, tra l’altro, è la comune aspettativa di un mondo di provincia che, essendo lontano dalla Roma sede del potere centrale, gli è lontano dagli occhi e quindi anche dal cuore. Del resto è comprensibile: quel tipo di istanze territoriali andrebbero trattate da corpi intermedi ed enti locali, lasciando i nostri parlamentari a rappresentarci nella gestione del tutto e non certo del particolare. Ma è l’Italia a essere provinciale nell’anima. Detto questo, è comprensibile che gli eletti locali, una volta arrivati a Roma, si comportino come studenti universitari fuori sede: liberi dai vincoli della famiglia, fanno ciò che gli pare vivendo le loro “vacanze romane”, dimenticandosi spesso l’umile origine provinciale. Vita da peones, si direbbe tecnicamente, salvo i pochi eroi creati dalla tv politica, al solito invadente e logorroica. Comunque qualcosa che ha poco a che fare con il territorio.
Localmente, la risacca di quest’elezione si è portata via le parlamentari miracolate dalle alte maree passate e ha lasciato un’eredità di lungocorsisti della politica, per due terzi addirittura candidati altrove. Difficile quindi sapere e capire per quale territorio si spenderanno, almeno a parole. D’altronde, se è vero che l’esperienza è un valore, e lo è, c’è pure la possibilità che i chiamati a trovare soluzioni siano gli stessi che, in quota parte, hanno contribuito a determinare l’attuale stato delle cose. In ogni caso, “stiamo sereni” che, ora che sono stati ritirati i gazebo, noi si torna al mercato per comprare il formaggio mentre loro, vincitori e vinti, hanno (quasi) tutti un buon risultato da cui ripartire: altro giro, altro regalo. Alla fiera delle vanità.
Lele Ghisio
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