Eventi & Cultura
Le preghiere in lingua piemontese
Massimiliano Zegna: “Valorizzare la nostra lingua e le nostre tradizioni significa valorizzare e amare anche le tradizioni degli altri. Questo è stato l’insegnamento di Tavo Burat”
“Lë smon l’àutra ciafèla” a l’è pa na dimostrassion ëd sotmission, ma na dimostrassion ëd dësfida. S’at pianto në sgiaf e ti it risponde con n’àutr ësgiaf, la mùsica a podrìa andé anans sensa fin. Porgere l'altra guancia non è una dimostrazione di sottomissione ma una sfida. Se ti danno una schiaffo e rispondi con altro schiaffo si potrebbe andare avanti senza fine”.
Nella predicazione di Massimiliano Zegna riguardante il capitolo 5 versetti 38-45 dell'Evangelo di Matteo, domenica 25 agosto vi è stata, nel tempio valdese di Piedicavallo, la continuazione di una tradizione nata negli anni 70: il culto in piemontese.
“Ël but ëd fé un servisse religios an piemontèis a veul dì sossì: valorisé la nòstra lengua e le nòsse tradission për valorisé e amé ‘dcò le tradission ëd j’àutri.Cost a l’è stàit lòn ch’a l’ha mostrane Tavo Burat, che, giusta an cost templi, a l’ha mostrane a cheuje an sò ancreus pussè fongh, lòn ch’a l’ha dine Gesù Crist”. Lo scopo di fare un culto in piemontese – ha aggiunto Zegna – vuol dire questo: valorizzare la nostra lingua e le nostre tradizioni significa valorizzare e amare anche le tradizioni degli altri. Questo è stato l'insegnamento di Tavo Burat, che proprio nel tempio di Piedicavallo ci ha insegnato a cogliere ciò che ci ha detto Gesù Cristo nel suo significato più profondo”.
Riprendendo il brano di Matteo “Se uno ti costringe a fare un miglio fanne con lui due”, Zegna ha sottolineato che “Anche qui vi è un paradosso in quanto sicuramente l'interpretazione letterale porterebbe ad una situazione in cui quasi nessuno di noi vorrebbe compiere un atto così supino. Non certamente i valdesi quando hanno subito le varie persecuzioni!
Il richiamo di Gesù è invece quello di compiere dei passi in più di quelli che si riesce a fare normalmente.
Spesso noi ci fermiamo a quello che è il nostro dovere e ci pare di aver fatto abbastanza; eppure dobbiamo spingerci a “fare di più” come dice una famosa canzone”.
L'idea del culto in piemontese era nata dopo che un gruppo di poeti e scrittori piemontesi (tra cui Giacomo Calleri) si era rivolto all'allora pastore di Biella Ernesto Ayassot e all'indimenticabile Tavo Burat (strenuo difensore delle minoranze linguistiche) per sollecitare un atto di questo tipo dopo che il Concilio Vaticano II pur aprendo la messa alle lingue cosiddette volgari non aveva autorizzato quella in piemontese.
“Nòssa lenga a l'è trop cita e povra për la gèisa signora 'd Roma. E s'j andèisso a tambossè a la pòrta 'd cola dij Barbèt? La nostra lingua è troppo piccola e povera per la chiesa signora di Roma. E se andassimo a bussare alla porta dei valdesi?”
E così dagli anni 70 ad oggi la tradizione del culto in piemontese (con la collaborazione nella traduzione di Giorgio Demontago e Piero Delmastro) e nell'ultima domenica di agosto, è continuata nel vecchio tempio del 1895 realizzato dai picapère della Valle Cervo nel Biellese.
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