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Alla borgata Pastore vivevano dieci famiglie che si aiutavano fra di loro

Claudio Turolla, 80 anni, ricorda la sua frazione negli anni del Dopoguerra. Lavoravano in fabbrica ed erano contadini.

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COSSATO – Negli anni Cinquanta alla borgata Pastore abitavano circa dieci famiglie e tanti sono i ricordi. Alla ricostruzione della storia partecipa Claudio Turolla, 80 anni (nella fotografia), conosciuto in città per la sua lunga esperienza lavorativa nel settore dell’idraulica.

«In borgata ci sono nato e mi ricordo di quando giocavo, i curìa tamme an disprà, sera an masnà – correvo come un matto, era un bambino -.
La mia nonna diceva che durante la guerra arrivavano i militari a cercare da mangiare, perché nel borgo, oltre a lavorare in fabbrica, erano anche contadini, ma era una coltivazione di sussistenza, la vigna, un po’ di grano e le patate.
I soldati venivano a prendere le galline, che nessuno voleva dare, poi un giorno è arrivato un poveraccio e gli avevano rifilato una gallina malàvia, ammalata. Lui diceva che avrebbe “dato zucchero”. Aveva poi infilato il volatile in tasca e se ne era andato».

Tenendo il conto con le dita, Claudio elenca i residenti.

«C’era il Quintino Lavino, chiamato Tino, e soprannominato il “baculèt”, poi c’erano il Duilio, al Giuan, al Bèp, la Pia, al Seno, al Mora, la Curina e il Giuseppe Monteferrario con la moglie Prosperina Piantino della Motta, che erano i miei nonni e poi c’erano anche le zie Rosa e Matilde, che chiamavamo Tilde»

Borgata Pastore, i cui residenti anticamente erano soprannominati, “barlica buz”, letteralmente lecca buz, dove il buz era la zangola, l’attrezzo per fare il burro, si trova a monte di via Matteotti.

«Al di là della strada, oltre via Parlamento, inizia borgata Arale – prosegue -. Non ho mai saputo perché si chiamasse Pastore, la nonna diceva che era per la propensione agricola.
La mia famiglia è originaria di borgata Monteferrario, che si trova ancora più a monte, verso la collina.
Comunque la frazione era già abitata da migranti che arrivavano dal Veneto.

La Pia mi accudiva da piccolo e poi era partita per l’America. Ricordo quando era venuta a salutarmi piangendo. Il Paolo Seno arrivava dalla provincia di Padova e lavorava in fabbrica, abitava con la moglie Veneranda Maria Capuzzo.
Duilio Monteferrario era nipote di mio nonno e, oltre a zappare la terra, era tessitore alle Manifatture Gallo.
Pietro Mora faceva il magnan, le pentole, e lavorava dal Fila. Era Valsesiano.
La Corinna Bonardi lavorava anche lei dal Fila e dopo il pensionamento, nel 1952, era andata con il nipote nell’Astigiano».

Il nonno Giuseppe e la nonna Prosperina avevano una figlia, nata nel 1918, che si chiamava Ermelinda.
«Era la mia mamma, mancata tre anni fa, all’età di 100 anni e 6 giorni. Credo che sia stata l’ultima persona di Cossato nata fra il 1910 e il 1920. E poi c’erano la zia Rosa e la zia Matilde, entrambe contadine. Avevano sposato due carabinieri.
Cosa c’era di buono è che a quei tempi si parlava. Ci si dava aiuto reciproco, soprattutto nel periodo in cui si faceva il fieno e si uccideva il maiale, che era allevato da quasi tutti».

 

ar.a

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