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Viva l’Italia, l’Italia che resiste

BIELLA – Non so se dire viva l’Italia, quella del valzer e del caffè. Quella degli italiani brava gente e degli altri luoghi comuni confinanti. Sarei più per un caustico viva l’Italia sì, ma nuda come sempre. Come capita quando ci sbattiamo in faccia la realtà e la solita finta indignazione. Che se non è finta, dura comunque un attimo.
Perché se c’è un’Italia dimenticata, questa diventa quella da dimenticare. In fretta. Sarà che quell’Italia siamo noi e guardarci in uno specchio che non ci dice che siamo i più belli del reame mica ci piace. È l’Italia dei furbetti, è l’Italia degli italiani. Quelli dall’atteggiamento un po’ schizofrenico, al riguardo. Se a essere furbetti sono gli altri ci indigniamo, se siamo noi ne siamo in qualche modo compiaciuti: alla furbizia riconosciamo il “giusto” valore.
Abbiamo, tutti in coro, già speso parecchie parole sul fatto che Biella dia il meglio di sé con il suo peggio, per entrare nelle pagine di cronaca nazionale. Un vizio che sotto sotto non ci dispiace nemmeno: è il modo un po’ maldestro di certificare ancora la nostra esistenza. Risorsa disperata, non riuscendo più a combinare qualcosa di meglio o qualcosa di buono che non fosse la solita noiosa e orgogliosa retorica. D’altronde quando qualcosa di meglio ce l’avevamo davvero, ci conveniva star nascosti a dirci quanto eravamo bravi. Al solito specchio, che allora era di certo più indulgente.
I furbetti del vaccino sono solo l’ultima trovata “promozionale” che ci ha permesso qualche distratta attenzione dal resto d’Italia preso da altre faccende. E, al di là di quelli che saranno gli sviluppi della vicenda sulla quale stanno indagando gli ormai mitici Nas dei Carabinieri, la storia presenta una serie di buffi aspetti sociologici e antropologici.
Diciamoci la verità: sul fatto che qualcuno avrebbe, prima o poi, saltato la fila per la vaccinazione anti-Covid, ci avremmo scommesso una pezza di cashmere. Su quello che saremmo stati noi, quelli messi all’indice nazionale, un po’ meno. Forse una pezza qualsiasi, prodotta in qualche fabbrica da noi delocalizzata in chissà quale paradiso della mano d’opera a basso costo.
Può essere che sia stata un’ingenuità logistica, quella, da parte dell’Asl locale, di far girare in leggerezza un modulo d’adesione di troppo. Il fatto che qualcuno ne abbia approfittato però no. Perché, come detto, siamo bravi e integerrimi moralizzatori quando gli italiani sono gli altri, meno quando gli italiani siamo noi.
Fa un certo effetto, dopo una breve rassegna, vedere la notizia sul sito di Radio Napoli Centro. O leggere in un teaser di Radio 24 (quella del Sole 24 Ore, il quotidiano economico) che “da Biella alla Sicilia sono già decine di migliaia le persone che hanno saltato la fila e si sono fatte somministrare il vaccino pur non avendone diritto”. O avere in città un inviato de “La vita in diretta” di Rai Uno, a metterci il microfono sotto alla mascherina per chiederci che succede. D’altronde, furbetti lo eravamo già stati con il cartellino, la vicenda dei disinvolti dipendenti comunali ancora in corso d’opera giudiziaria.
A inizio vaccinazioni l’Asl invitò i giornalisti per un incontro organizzato apposta per la stampa, nel corso del quale sarebbe stato possibile fare foto, riprese e interviste ai neo vaccinandi tra gli operatori sanitari. Sarebbe stato carino fare una sessione anche per gli inevitabili furbetti, a saperlo prima (anche se non è escluso che nel cellulare di qualche parente le foto ci siano davvero). Il divertimento sarà tutto rimandato alla seconda somministrazione. Ma forse qualcuno preferirà farsi il Covid, che quello mica accetta raccomandazioni. Però, va’ a sapere. Siamo riusciti, nel tempo, a burocratizzarci la vita pubblica in modo indecente: che sia questa la nostra, da italiani, quotidiana lotta alla burocrazia? Se lo chiede persino il vocabolario della Treccani nello spiegare il neologismo ormai divenuto corrente: furbettocrazia. Insomma, per noi italiani, anche di Biella, l’autocertificazione è una vera pacchia. Teniamo pronti i popcorn e, In ogni caso: viva l’Italia, l’Italia che resiste. E abbasso quella furbetta.
Lele Ghisio
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