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Va in pensione Cesare Molinari, lo “special one” dei presidi

L’intervista di Paolo La Bua a Cesare Molinari, preside del “Gae Aulenti”

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cesare molinari

Lo “special one” della pubblica amministrazione. Un punto di riferimento per studenti, famiglie e insegnanti. Un preside capace, incredibilmente, di rendere interessanti le assemblee e le riunioni collegiali, superando burocrazia e chiacchiericcio. Un fuoriclasse.

Cesare Molinari, 63 anni, andrà in pensione a settembre dopo una vita trascorsa nella scuola, prima come insegnante e poi come dirigente scolastico.

Ultima e decisiva tappa della sua esperienza, il “Gae Aulenti”, che ha trasformato in una delle scuole più grandi della provincia e un modello per tanti istituti tecnici e professionali del Paese.

Cosa farà in pensione?

Aprirò un chiosco in qualche spiaggia o affitterò ombrelloni e sdraio… Battute a parte, spero di poter dare una mano nel mondo della scuola, con ruoli e tempi diversi rispetto a oggi. Penso a un contributo nella formazione e nella progettazione.

La scuola è ancora un ascensore sociale?

Sì. Capisco le critiche alla scuola pubblica italiana, ma rispetto a tante realtà europee, la nostra mantiene questa vocazione per i ceti sociali meno abbienti. In Germania il figlio di un operaio farà l’operaio e chi si laurea ha alle spalle genitori o famiglie di laureati. Questa criticità esiste anche in Italia, ma in forma ridotta. Non siamo un modello perfetto, ma gli aspetti positivi superano quelli negativi.

Scuola e lavoro.

Tantissimo è stato fatto rispetto a due realtà che, un tempo, erano lontane. Una volta gli istituti superiori non erano collegati né alle esigenze né alle aspettative delle realtà produttive. Lo sforzo a partire dagli anni Novanta è stato importante. Oggi anche le aziende bussano alle porte della scuola, nell’ottica di creare progetti condivisi. E’ la strada giusta. Grazie a questo percorso, un giovane può pensare di trovare un lavoro migliore rispetto a quello dei genitori.

Un ragionamento sulle scuole nel Biellese.

L’Alberghiero e l’Agrario sono modelli vicini al territorio. Nel momento in cui un giovane vuole lavorare nei settori agricolo e turistico, questi istituti rappresentano un’ottima base per costruirsi un percorso professionale.

Nella scuola va tutto bene, insomma!

No, per carità. Deve continuare a cambiare e a migliorarsi. Dopo la riforma dei professionali attendo la riforma degli istituti tecnici. Non entro nei dettagli… Queste scuole però devono avvicinarsi di più al mondo del lavoro. Per esempio: gli stage in aziende non dovrebbero essere dei momenti in cui andare a vedere come si lavora, bensì dei contesti in cui un giovane è già un dipendente, che poi va anche a scuola. Almeno nell’ultimo anno di scuola superiore dovrebbe essere così. Siamo l’unico Paese che diploma i giovani a ben 19 anni. I ragazzi arrivano così nel mondo del lavoro senza esperienze concrete, mentre i loro coetanei europei hanno già situazioni professionali di qualità alle spalle. Non va bene.

Momenti difficili?

Diversi. Subito penso al “Covid”, ma solo perché il più vicino.

Spesso a scuola emergono casi difficilissimi, tra abusi, famiglie assenti o genitori con problemi personali enormi (droga, carcere, malattie mentali)…

Momenti drammatici, i più duri della carriera. Nella società sono venuti meno tanti punti di riferimento per i giovani, e non solo. La scuola nella sua dimensione di socialità, invece, riesce a far emergere questi problemi, spesso, terribili. Ricordo situazioni con grande amarezza e sofferenza per i contesti in cui si trovavano giovani e giovanissimi. Ho sempre dato ascolto e supporto. A tutti.

I docenti sono buoni o cattivi?

Ho in mente molti insegnanti eccezionali. E vedo giovani avvicinarsi con entusiasmo alla professione, anche di fronte a stipendi modesti. Fare l’insegnante resta il mestiere più bello del mondo, nel momento in cui una persona diventa un punto di riferimento educativo e umano per le nuove generazioni.

Andasse male la carriera di venditore ambulante, potrebbe darsi alla politica.

Ho già detto all’amico Dino Gentile che non mi candiderò.

Battute a parte…

Ho già fatto politica.

In che senso?

Sono stato un funzionario dello Stato. Ho lavorato con sindaci e con ministri di tutte le forze politiche. Ho mediato con genitori e istituzioni. Ho rappresentato lo Stato quando qualcuno voleva sfogarsi o buttare fuori la sua rabbia, giusta o sbagliata che fosse, contro la scuola e quello che rappresenta al di là delle aule e delle lezioni. Ho cercato di trovare sempre una soluzione ai problemi di studenti, famiglie e insegnanti. La mia parte credo proprio di averla fatta. E poi non ho ancora finito il mio lavoro….

Perché?

Devo far svolgere l’esame di maturità a tanti ragazzi e ragazze e poi, a settembre, ci sono gli esami di recupero.

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