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Rimborso spese per dipendenti

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Può capitare, nella vita lavorativa di ognuno, di dover prestare servizio fuori dalla sede assegnata per un periodo di tempo più o meno lungo. In questo caso, per il dipendente è possibile chiedere un rimborso delle spese sostenute per queste necessità aziendali, che può variare non solo a seconda del CCNL di riferimento, ma anche se la trasferta è stata effettuata all’interno o all’esterno del comune stabilito al momento della firma del contratto.
Un altro punto importante è quello della temporaneità: bisogna distinguere, infatti, tra trasferimento (spostamento definitivo della sede di lavoro) e trasferta (movimento temporaneo, più o meno lungo, dal luogo abituale a uno diverso).

Trasferte dentro o fuori il comune

Cosa si intende per “comune”? Quando sul contratto è indicato espressamente l’indirizzo della sede di lavoro, come in tutti i lavori dipendenti (considerato che è obbligatorio per legge la specifica di questo dato all’atto della firma del contratto), vale l’indicazione del comune di riferimento. In alcuni casi, quando non è possibile stabilire con certezza la sede di lavoro, le normative per i rimborsi stabiliscono che si prenda in considerazione non questo dato, ma il domicilio fiscale del dipendente (o collaboratore).

Una volta chiarito questo fatto, cerchiamo di capire cosa cambia se ci troviamo dentro o fuori il comune di riferimento. Nel primo caso, indipendentemente dalla grandezza, eventuali rimborsi erogati concorrono a creare reddito (quindi rientrano nello stipendio lordo), salvo il caso in cui eventuali spese di trasporto sono comprovate da idonea documentazione da parte del vettore. Se la trasferta viene effettuata fuori dal comune, la situazione cambia: i rimborsi, sempre giustificati da fatture, non sono imponibili (si aggiungono allo stipendio netto), salvo poche e specifiche eccezioni.

C’è un “però”: sia che il dipendente usi per la trasferta la sua auto, o una presa a noleggio, la deducibilità del rimborso chilometrico vale solo fino ai 17 cavalli fiscali (una cilindrata di circa 1600 cc) o 20 nel caso di alimentazioni Diesel (fino a 2000 cc).

Tipologie di rimborso

Tre sono le tipologie di rimborso per le trasferte fuori comune: quello forfettario; analitico (o “a piè di lista”); misto. Si può scegliere liberamente la modalità preferita, facendo attenzione che, in caso di trasferte di più giorni, l’opzione vale per tutta la durata del viaggio. Non buttate alcuno scontrino (ovviamente che sia inerente all’attività lavorativa): in caso contrario le spese che avete sostenuto non potranno essere conteggiate per il rimborso da parte dell’azienda.

Il rimborso forfettario, la diaria, è un importo prestabilito e fisso, pari a 46,48 euro in Italia e 77,46 euro all’estero. Questa somma non tassata viene erogata per ogni giornata lavorativa che il dipendente si trovi a dover affrontare fuori dalla sede ordinaria. Se la trasferta dovesse durare meno di 24 ore? Nessun problema: tale somma verrebbe ripartita per le ore effettivamente trascorse fuori dal comune, fino al raggiungimento dei 46,48 o dei 77,46 euro massimi al giorno. Una precisazione: la diaria non include le spese di vitto e alloggio, per cui
queste non saranno documentate.

Se viene scelto il rimborso “a piè di lista”, o analitico, l’azienda vi rimborserà delle spese (purché accuratamente documentate) per il viaggio e per il trasporto, oltre che per il vitto e l’alloggio. Attenzione: per quanto riguarda eventuali altri pagamenti, questi vi potranno venir restituiti fino ad un importo massimo di 15,49 euro al giorno in Italia e 25,82 euro all’estero.
Sarà cura del lavoratore compilare la nota spese e dotarla della giusta documentazione (fatture, ricevute, scontrini, documenti di viaggio etc.), visto che per questo genere di rimborso non sono previsti limiti di spesa (salvo quelli già citati).

Terza e ultima tipologia di rimborso a disposizione del dipendente, il rimborso misto racchiude in sé entrambe le casistiche precedenti: di base si tratta sempre di un indennizzo di tipo analitico (come quello appena visto), però il datore di lavoro può riconoscere in aggiunta una specie di diaria, sempre esentasse, che può essere pari a ⅓ o ⅔ di quella normalmente spettante in caso di rimborso forfettario (la parte eventualmente eccedente, tanto quanto le spese non documentate, rientreranno tra gli importi imponibili).

Un’ultima considerazione: come si pone l’azienda riguardo ai rimborsi delle trasferte dei dipendenti e dei suoi collaboratori? Tali importi sono deducibili dal reddito complessivo dell’impresa, qualora le trasferte interessino l’attività aziendale, entro certi limiti (come specifica l’articolo 95 del TUIR). Se la scelta dovesse ricadere sul rimborso di tipo forfettario, l’azienda non ha alcun limite di deducibilità (nella stessa maniera in cui al lavoratore in trasferta tale indennizzo non costituisce reddito). In caso di rimborso analitico la situazione diventa più complicata: le spese di vitto e alloggio saranno deducibili solo in parte, quelle di viaggio e trasporto totalmente.

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