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Quell’incontro che ha rivoluzionato la mia vita

Fra le Righe, la rubrica di Enrico Neiretti

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Qualche giorno fa è morto -attraverso il ricorso al suicidio assistito- il regista Jean-Luc Godard. Fu uno dei registi di punta del movimento del cinema francese della Nouvelle Vague. François Truffaut, Jean-Luc Godard, Éric Rohmer furono i nomi più noti di questa corrente culturale che, a partire dagli anni ’60 del secolo scorso, rinnovò profondamente il linguaggio del cinema francese e non solo.

Io non sono un esperto dell’argomento cinematografico, né tantomeno un critico, e quindi non parlerò di cinema. Però la scoperta della Nouvelle Vague e la sua forte impronta narrativa ed estetica ha avuto per me, per la mia formazione, un’importanza decisiva.
Devo la scoperta di questa corrente artistica, che segnò con la sua poetica e la sua estetica il mio percorso di vita, ad un corso dell’Università Popolare di Biella che seguii tantissimi anni fa, quasi trenta ormai.

Era una stagione complicata per me: avevo da poco finito il servizio militare e avevo iniziato a lavorare. L’ingresso nel mondo del lavoro si rivelò molto più aspro di ciò che mi aspettavo: a parte la necessità di partire davvero dal basso, con umiltà -che è facile da invocare adesso, a cinquant’anni, riferendosi ai giovani di oggi, molto meno da praticare quando è il proprio turno- soffrivo tremendamente per il baratro anagrafico e di linguaggio che mi separava dalle persone con cui lavoravo. Le pause dal rumore delle macchine e dalla polvere di ghisa sospesa in aria erano scandite da commenti vernacolari sul calendario osé appeso ad una parete, dalle liti sulle partite della domenica, da considerazioni qualunquiste sulla politica e sulla società.

Tutto come ora in buona sostanza. Ma in quella mia fase di ingresso nel mondo adulto, tutta quella piccineria, che strideva rumorosamente con i miei desideri, mi stava letteralmente soffocando. Cercavo disperatamente di salvarmi da quella deriva aggrappandomi ai libri e al cinema. Leggevo in modo vorace e disordinato, cercavo avidamente ogni sera qualche film da guardare. Ma non era tempo di streaming e di piattaforme cinematografiche allora, e la scelta era piuttosto ridotta, a volte assolutamente deludente.

Un giorno, sfogliando quasi per caso un opuscolo informativo dell’Università Popolare di Biella, notai un corso di Storia del cinema. Mi iscrissi.
Le lezioni erano dedicate appunto al cinema francese, alla Nouvelle Vague. Erano tenute da un giovane professore di lettere, innamorato del cinema, e bravissimo a comunicare tutto il fascino di ciò che raccontava. Con il suo racconto lieve, elegante ed appassionato mi fece conoscere l’opera di Truffaut, di Rohmer, di Godard.

Fui sedotto fatalmente dall’estetica di quella Francia anni ’60, dall’eleganza un po’ dimessa dei protagonisti dei film, dalle atmosfere parigine, dalle auto francesi, dalla bellezza sensuale e ribelle delle attrici simbolo di quel cinema: Jeanne Moreau, Jean Seberg, Anna Karina.
Quel corso, che diventò un vero e proprio percorso, fu il primo tassello di una costruzione culturale fatta di film, musica, fotografia, libri, a cui mi sono dedicato per tutta la vita e che continua ancora oggi.

Ecco, quando mi iscrissi a quel corso dell’Università Popolare pensavo che fosse semplicemente un modo intelligente per passare un po’ del mio tempo libero. Invece diede il via ad una vera e propria rivoluzione nella mia vita. Ci sono voluti tanti anni per rendermene conto, e ancora di più per apprezzarne i frutti. Ma molto di ciò che sono lo devo a quel felice incontro.

Enrico Neiretti

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