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Ospitano profughi nelle proprie case

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Sono stati tra i primissimi Claudia Tortello e Alberto Miglietti, residenti a Biella, ad ospitare con il programma Caritas “Un profugo a casa mia”. Loro hanno iniziato a dare alloggio a un ragazzo proveniente da un centro di accoglienza già nel lontano 2011. E la loro storia è stata pubblicata sul numero di venerdì 2 ottobre de “l’Espresso”.

Sono stati tra i primissimi Claudia Tortello e Alberto Miglietti, residenti a Biella, ad ospitare con il programma Caritas “Un profugo a casa mia”. Loro hanno iniziato a dare alloggio a un ragazzo proveniente da un centro di accoglienza già nel lontano 2011. E la loro storia è stata pubblicata sul numero di venerdì 2 ottobre de “l’Espresso”.

 

«Ha iniziato mia figlia – racconta al settimanale Claudia Tortello – portando ogni tanto a casa qualche ragazzo del centro di accoglienza di Muzzano con cui facevamo lunghe chiacchierate. Poi lei ha iniziato a frequentare l’università a Bologna, ma noi non abbiamo mai smesso di continuare ad accogliere e ad ospitare i ragazzi».

 

Dal 2011 la coppia di Borriana ospita in casa loro un ragazzo proveniente dal Mali. «Quando abbiamo deciso di offrire un lavoro ad uno dei profughi di Muzzano – continua Claudia -, la scelta di Mamadou è stata facile: era sempre gentile e puntuale agli appuntamenti, ci sembrava affidabile. Nel dicembre del 2011 lo invitammo a fare l’albero di Natale e mio marito gli chiese anche una mano a cambiare una gomma dell’auto. Una specie di test prima di invitarlo a fermarsi a dormire da noi. Da allora non se ne è più andato». 

 

Non è stata la guerra a spingere Mamadou ad allontanarsi dalla sua casa, ma la povertà. Per andare in cerca di una vita migliore ha lasciato la famiglia a coltivare i cereali in Mali. Per trovare nuove opportunità si era trasferito a Bamako, la capitale, ed era riuscito a trovare lavoro come piastrellista. Poi un imprenditore libico gli aveva proposto di lavorare per lui, ma per farlo doveva trasferirsi in Libia. Nella primavera del 2011 la guerra però lo ha raggiunto. «I soldati di Gheddafi – spiega Mamadou a l’Espresso – volevano che ci unissimo a loro per combattere i ribelli, ma io ero lì per lavorare, non per combattere. Così ci rinchiusero prima in una caserma cercando di convincerci a suon di botte e poi ci fecero salire su un barcone per l’Italia. Arrivammo in Sicilia ma fummo subito portati per nave a Genova e da qui in un centro di accoglienza a Biella. Mentre aspettavo il risultato della mia richiesta di asilo è scoppiata la guerra nel mio paese e così ho potuto ottenere il permesso di restare in Italia».

 

Merito di Claudia Tortello è stato anche quello di convincere Roberto Pareschi, una volta vicino di casa, ad ospitare come lei un profugo a casa. 

«È lei che ha ispirato tante persone nel Biellese» spiega Roberto. Per qualche anno l’uomo, residente in città, ha allenato una squadra di calcio di profughi africani che giocava nel circuito biellese. È lì che lui e Arthur, un ventenne della Costa d’Avorio, si sono incontrati. Anche Arthur, dopo avere ottenuto lo status di rifugiato per ragioni umanitarie, sarebbe finito per strada se Roberto non lo avesse accolto.

 

Dopo aver perso prima la madre durante la guerra civile, qualche anno ha perso anche il padre, politico locale. In Italia Arthur è arrivato da solo con un aereo, aiutato da un centro evangelico di Abidjan, lasciando la casa della matrigna che lo avrebbe preferito stregone in un villaggio anziché laureato in informatica. 

E invece vorrebbe continuare a studiare: ha già fatto domanda al Politecnico di Torino e nel frattempo è tirocinante in un’azienda informatica.
«Non lo dice ma vorrebbe diventare una persona importante – spiega Roberto -. Deve solo superare le sue insicurezze, la paura di dire la cosa sbagliata e di non farsi capire».

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