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“Non troviamo informatici a 3mila euro mensili”

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È il  più antico lanificio Italiano, con 1300 clienti, tra cui tutto il gotha delle griffe e delle sartorie di lusso. I loro tessuti sono stati indossati da Gianni Agnelli, George Bush è Hu Jintao. Tredici generazioni e un archivio storico dei tessuti di tendenza, dall’800 in poi. Eppure fanno fatica a trovare informatici su piazza. Sembra incredibile che, in un Paese con il tasso di disoccupazione del 40 per cento, ci possano essere giovani che rinunciano a impieghi specializzati che li porterebbero a guadagnare anche 3000 euro al mese.
A raccontarlo davanti alle telecamere di Klaus Davi, che sta conducendo una inchiesta sul Made in Italy è  Alessandro Barberis Canonico,  amministratore delegato dell’omonimo colosso tessile biellese da oltre 150  milioni di fatturato
«Noi a volte – afferma il manager –  vediamo che ci sono stipendi tecnici di primo ingresso, tipo informatici che partono da 3.000 euro al mese netti. Stiamo cercando informatici, perché sviluppiamo i nostri software all’interno. E  non riusciamo a trovarli. E partiamo da cifre di quel livello, anche più alte, come primo impiego, perché è difficile trovare un programmatore capace, bravo sul territorio, disposto a venire in questo settore e a raggiungerci a Biella».
Già i nostri figli ormai irretiti dalla tecnologia arretrano davanti al termine manifatture: «Spaventa il manifatturiero e, secondo me, non è solo un problema nostro. Se uno parla di marketing, comunicazione e vendite, diciamo che è molto più trendy. La vecchia tintoria sporca, di macchinari in cui le lavorazioni si facevano a mano, oggi non esiste più. Oggi praticamente c’è gran parte dell’automazione. Questa è l’immagine che forse noi dovremmo cercare di trasmettere ai ragazzi, a cui è rimasta probabilmente l’immagine dei loro genitori. Risultato? Nei prossimi cinque anni il 20 per cento della forza lavoro andrà in pensione. Sul territorio ci saranno duemila figure carenti, che andranno formate. L’Unione Industriale si è già attivata per far fronte a questo problema».  
 Voce isolata? Non proprio. Dello stesso avviso è l’industriale marchigiano Giovanni Fabiani, a capo dell’omonimo colosso delle calzature: «Questa è la generazione di Facebook e dei telefonini. Ho provato a inserirne diversi nelle nostre fabbriche. Il lavoro passa cosi: per loro non sembra cosi fondamentale. Orlatura. Tagliatura? Specializzazioni che non interessano. Il problema è generazionale, perché se questi ragazzi non cambiano testa, anche noi potremmo in un futuro persino chiudere».  Sulla stessa linea Rodolfo Zengarini, CEO dell’omonimo gruppo che produce scarpe per grossi brandi come Cavalli  e Blumarine. «La generazione di Zuckerberg sarà tecnologicamente ferratissima sulle nuove tecnologie, ma ha sempre lo sguardo fisso sull’orario di lavoro. Ed è grazie anche alla Politica, che alimenta illusioni e magari le finanzia, che si coltiva il disprezzo per l’artigianato. E questo è il risultato».  
Conferma Bachisio Ledda a capo della compagnia di posta privata City Poste Payment: «I ragazzi italiani? Per loro fare i postini è una bestemmia. Vogliono creare tutti le start up, magari finanziate dalle Regioni, che buttano soldi pubblici in imprese che al 70 per cento falliscono – come dimostrano i dati ufficiali – e lasciano chiudere, senza battere ciglio, le aziende che invece producono ricchezza. Questa è l’Italia».

È il  più antico lanificio Italiano, con 1300 clienti, tra cui tutto il gotha delle griffe e delle sartorie di lusso. I loro tessuti sono stati indossati da Gianni Agnelli, George Bush è Hu Jintao. Tredici generazioni e un archivio storico dei tessuti di tendenza, dall’800 in poi. Eppure fanno fatica a trovare informatici su piazza. Sembra incredibile che, in un Paese con il tasso di disoccupazione del 40 per cento, ci possano essere giovani che rinunciano a impieghi specializzati che li porterebbero a guadagnare anche 3000 euro al mese.
A raccontarlo davanti alle telecamere di Klaus Davi, che sta conducendo una inchiesta sul Made in Italy è  Alessandro Barberis Canonico,  amministratore delegato dell’omonimo colosso tessile biellese da oltre 150  milioni di fatturato
«Noi a volte – afferma il manager –  vediamo che ci sono stipendi tecnici di primo ingresso, tipo informatici che partono da 3.000 euro al mese netti. Stiamo cercando informatici, perché sviluppiamo i nostri software all’interno. E  non riusciamo a trovarli. E partiamo da cifre di quel livello, anche più alte, come primo impiego, perché è difficile trovare un programmatore capace, bravo sul territorio, disposto a venire in questo settore e a raggiungerci a Biella».
Già i nostri figli ormai irretiti dalla tecnologia arretrano davanti al termine manifatture: «Spaventa il manifatturiero e, secondo me, non è solo un problema nostro. Se uno parla di marketing, comunicazione e vendite, diciamo che è molto più trendy. La vecchia tintoria sporca, di macchinari in cui le lavorazioni si facevano a mano, oggi non esiste più. Oggi praticamente c’è gran parte dell’automazione. Questa è l’immagine che forse noi dovremmo cercare di trasmettere ai ragazzi, a cui è rimasta probabilmente l’immagine dei loro genitori. Risultato? Nei prossimi cinque anni il 20 per cento della forza lavoro andrà in pensione. Sul territorio ci saranno duemila figure carenti, che andranno formate. L’Unione Industriale si è già attivata per far fronte a questo problema».  
 Voce isolata? Non proprio. Dello stesso avviso è l’industriale marchigiano Giovanni Fabiani, a capo dell’omonimo colosso delle calzature: «Questa è la generazione di Facebook e dei telefonini. Ho provato a inserirne diversi nelle nostre fabbriche. Il lavoro passa cosi: per loro non sembra cosi fondamentale. Orlatura. Tagliatura? Specializzazioni che non interessano. Il problema è generazionale, perché se questi ragazzi non cambiano testa, anche noi potremmo in un futuro persino chiudere».  Sulla stessa linea Rodolfo Zengarini, CEO dell’omonimo gruppo che produce scarpe per grossi brandi come Cavalli  e Blumarine. «La generazione di Zuckerberg sarà tecnologicamente ferratissima sulle nuove tecnologie, ma ha sempre lo sguardo fisso sull’orario di lavoro. Ed è grazie anche alla Politica, che alimenta illusioni e magari le finanzia, che si coltiva il disprezzo per l’artigianato. E questo è il risultato».  
Conferma Bachisio Ledda a capo della compagnia di posta privata City Poste Payment: «I ragazzi italiani? Per loro fare i postini è una bestemmia. Vogliono creare tutti le start up, magari finanziate dalle Regioni, che buttano soldi pubblici in imprese che al 70 per cento falliscono – come dimostrano i dati ufficiali – e lasciano chiudere, senza battere ciglio, le aziende che invece producono ricchezza. Questa è l’Italia». 

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