Attualità
“Mi dissero ‘scappa’ da Biella, invece qui sto benissimo”
Un caffè con Domenico Laterza, giovane neurologo con la passione per natura e storia, che dal 2019 lavora nella struttura biellese
BIELLA – Ha solo 33 anni, ma grande determinazione e un ricco bagaglio di competenze, il dottor Domenico Laterza, promettente neurologo che ha scelto Biella e il suo ospedale. Dalla fine del 2019, infatti, è in forza alla struttura diretta dal dottor Gusmaroli.
Originario di Montescaglioso, in provincia di Matera, ha già girato mezza Italia e accumulato esperienze, per perfezionare le proprie conoscenze e migliorarsi.
Nonostante la giovane età e la vita impegnativa tipica di un giovane medico, è già riuscito a firmare diverse pubblicazioni su riviste scientifiche e ha trovato anche il tempo di farsi una famiglia, diventando papà di due bambine.
Partiamo dall’inizio, dottor Laterza, quando e perché ha deciso che sarebbe diventato un medico?
È un’idea maturata “progressivamente”, a mano a mano, durante gli anni del liceo, quando ho iniziato ad appassionarmi alla biologia e alla fisica, oltre che alle materie umanistiche. In fondo il medico è una sorta di connubio tra un esperto di scienze e una figura sociale.
Cosa l’ha spinta, poi, a intraprendere la strada della neurologia?
È uno dei campi della medicina che hanno avuto maggiore attenzione e sviluppo negli ultimi anni, si sono aperti nuovi scenari e prospettive sconosciute fino a pochi anni fa. Mi affascinava la possibilità di indagare cosa c’è dentro al nostro cervello.
E qual è stato il suo percorso formativo e professionale?
Ho avuto la possibilità di formarmi a Modena e Reggio Emilia, due centri prestigiosi per la cura dell’ictus con storie e numeri importanti a livello nazionale e internazionale. Poi ho sempre avuto la possibilità di dedicarmi alle applicazioni dell’ecografia. A Praga, invece, ho ottenuto la certificazione internazionale di Neurosonologia. A Modena sono stato inoltre nel direttivo della sezione regionale della Società Italiana dello Studio delle Cefalee. Infine Biella, uno dei centri in cui si possono somministrare nuovi trattamenti per l’emicrania, con gli anticorpi monoclonali. È interessante poter continuare nello studio delle cefalee e non era scontato, perché non tutti gli ospedali che afferiscono a un bacino di popolazione non grandissimo possono contare sulle nuove possibilità terapeutiche per l’emicrania.
Matera, Parma, Modena, Reggio Emila, Biella… Perché ha scelto la nostra città?
Alla fine del 2019 ero in procinto di specializzarmi e di dover scegliere sia il percorso lavorativo che quello di vita, perché spostarsi in un altro ospedale significa inevitabilmente trasferirsi in un’altra città. Quindi ho fatto quello che fanno tutti: ho soppesato i fattori professionali, ma anche quelli socio-familiari. Dal punto di vista lavorativo ha pesato il fatto che in questo ospedale, nonostante il bacino di popolazione non sia di milioni di abitanti, ci sono sia strumentazioni che competenze che permettono di seguire tutti i vari ambiti della Neurologia. Dal trattamento innovativo per l’emicrania alla polisonnografia, passando per tutta la neurofisiologia, i trial clinici per la valutazione di nuovi trattamenti per l’Alzheimer. C’è la possibilità di seguire con un ottimo background di strumenti e competenze tutti i vari ambiti della neurologia. Avere l’occasione di non focalizzarsi su un settore, ma di lavorare in un centro che può darti tutta questa varietà è stato determinante ai fini della scelta.
E invece a livello familiare?
Tre mesi fa la mia compagna ed io abbiamo avuto la seconda bambina. Io sono di Matera, lei è siciliana, entrambi siamo “cosmopoliti” e abbiamo vissuto in città diverse. Però quando hai una famiglia valuti certi fattori. Qui, ad esempio, c’è un livello di sicurezza molto elevato rispetto a tante altre realtà italiane. Poi c’è tantissimo verde, i servizi sono soddisfacenti… Mi sembra un luogo abbastanza ideale per far crescere dei bambini. Si vede che è un territorio con una lunga storia di benessere e servizi. È un posto a misura d’uomo da un lato, molto vicino a grandi centri come Torino e Milano, dall’altro.
C’è qualche aspetto dei biellesi che le piace in particolare?
Sono arrivato un mese prima dello scoppio della pandemia e all’inizio ho vissuto a Gaglianico, una realtà ancora più piccola, quindi come tutti ho dovuto fare i conti con le limitazioni sociali. Ho avuto comunque modo di coltivare rapporti con diversi biellesi e, in un certo senso, ho notato delle analogie con i lucani. Anche qui, infatti, vedo persone discrete, operose, alle quali piace vivere nell’ombra piuttosto che mettersi troppo in mostra. La gente è riservata. In questo siamo abbastanza simili.
Lei è qui ormai da oltre due anni: ci dica anche qualcosa di negativo su Biella e i biellesi.
Di negativo? Forse la scarsa capacità di valorizzarsi. Noto sempre un’estrema autocritica, anche eccessiva, ci si concentra molto sul negativo, anziché promuovere i punti di forza. In questo, ad esempio, siete diversi dagli emiliani: loro sono molto orgogliosi delle loro città e guai a parlarne male, qui invece siete sempre i primi a sottolineare le criticità.
Cosa fa il dottor Laterza una volta tolto il camice? Quali sono i suoi interessi al di fuori dell’ospedale?
Ho due tipi di distrazioni, che mi permettono di ricaricare le energie fisiche e mentali e quindi mi aiutano anche a lavorare al meglio. Mi piace immergermi nella natura, nella storia e nella letteratura. Vengo da una terra con una forte tradizione rurale, sono nato nella campagna lucana, fa parte delle mie radici, quindi adoro camminare fuori città. Poi qui ho ricominciato ad ammirare il cielo, quello di Biella nelle notti serene è bello, sicuramente diverso da quello di pianura padana (ride, ndr).
Le piace la letteratura, quindi la domanda è d’obbligo: libro e autore preferiti?
Ce ne sono diversi. Di D’Annunzio, ad esempio, mi piace la capacità di riproporre suggestioni della natura e convertirle in parole. Emerge in alcune poesie, come “La pioggia nel pineto”. Poi apprezzo la Fallaci per la capacità di offrire spunti di riflessione, a prescindere da quanto si sia d’accordo con lei. Penso a “Lettera a un bambino mai nato”. Stimola confronto e riflessioni. Andando più sul “classico”, Dante Alighieri per il virtuosismo, ma anche Pirandello e Verga.
È così “classico” anche nella musica?
Tendo ad aprirmi a vari generi, sicuramente all’hard rock preferisco la musica leggera della tradizione italiana, tipo Battisti e i Pooh. Anche Morricone è tanta roba. Diciamo che tra i Beatles e i Rolling Stones, sono più da Beatles.
Se invece le chiedessi un film?
Non sono un cinefilo provetto, sono abbastanza aperto ai vari generi. Guardo un po’ di tutto, non sono fan di un regista o di un genere specifico. Un film preferito in particolare non mi viene in mente.
Bene, allora passiamo all’altro grande interesse degli italiani: il calcio e lo sport in generale. Lei è un tifoso? Pratica qualche disciplina?
Nasco juventino, ma fino a qualche anno fa ero più tifoso, con il tempo mi sono un po’ allontanato dalla vera e propria passione. Però mi piace ancora guardare le partite prestando attenzione agli aspetti tattici. Sono un “fan critico”. Da ragazzo ho anche giocato, sempre a livello amatoriale. Ora mi dedico principalmente al trekking.
Tornando alla medicina, qual è stato l’impatto della pandemia sulla Neurologia, quali problematiche ha dovuto affrontare personalmente?
Personalmente ho avuto la possibilità di dare una mano nei reparti Covid, ma anche di dare il mio contributo nella campagna vaccinale. Sia dal punto di vista sociale che professionale, l’impatto c’è stato. Purtroppo in alcuni casi si è dovuto chiudere qualche ambulatorio non urgente, ma tutte le urgenze sono state mantenute. Anche perché quando si parla di ictus ed emorragie cerebrali non si può aspettare: molte situazioni in Neurologia sono “tempo-dipendenti”, ad esempio l’ictus non puoi trattarlo dopo una settimana. Quindi la stroke unit, quella che si occupa di ictus, ha continuato a lavorare a pieno regime. Anche l’ambulatorio per le urgenze è rimasto un presidio fisso a disposizione del territorio, sempre, anche nei momenti più critici come nei mesi di aprile e maggio 2020.
Sicuramente in questa situazione nel rapporto tra medico e paziente possono crearsi ulteriori criticità…
Quando una persona sta male si aspetta e ha il diritto di essere ascoltata, curata, dall’altra parte bisogna sempre comunque inserire il singolo in un tutto, dare delle priorità. Devo dire che nella maggior parte dei casi, nonostante sofferenza e preoccupazione, i malati sono perfettamente consapevoli di questo. Spiegando i problemi e continuando a dimostrare dedizione al paziente, rapportandosi con cuore, scienza e coscienza alla persona, si crea un rapporto di fiducia che è fondamentale e alla base della cura. È quello che si è cercato di preservare anche in questi mesi complicati, perché è alla base del funzionamento del sistema sanitario.
Cambiamo argomento: la sua terra e la sua famiglia d’origine. Riesce a tornare ogni tanto?
Ho un senso della famiglia molto forte e sono molto legato ai luoghi in cui sono nato e cresciuto. Purtroppo negli ultimi tre anni, prima per conseguire il titolo specialistico, poi a causa della pandemia e del trasloco, le occasioni sono state poche. Spero che aumentino una volta recuperata la normalità. Anche perché tornare in Basilicata è una medicina contro il burn out.
E chissà quanto le mancano certi piatti tipici… A Biella ha già assaggiato qualcosa?
Ho potuto apprezzare la polenta concia, il maccagno, gli agnolotti piemontesi… Ero già stato abituato bene in Emilia, ma devo dire che anche qui con la cucina mi è andata bene. Non è male nemmeno la bagna caoda, mi piacciono i sapori forti. I famosi salami lucani? A quelli per fortuna ci pensano i “pacchi da giù”.
Se anche a tavola si trova bene, speriamo decida di fermarsi a lungo a Biella!
Per il momento non ho in programma nuovi trasferimenti. Il presente e il futuro all’orizzonte sono qui. Anche perché pure la mia compagna in zona ha trovato la possibilità di svolgere un lavoro nel campo in cui ha studiato, insegna storia dell’arte a Vercelli. Lei come me apprezza i punti di forza delle città con le caratteristiche di Biella.
Un’ultima domanda prima di salutarla: c’è un aneddoto della sua esperienza biellese che ha voglia di raccontarci?
In effetti c’è… Riguarda una delle prime persone con cui ho avuto modo di parlare una volta arrivato a Biella. Ricordo che mi disse: “Dall’accento mi pare di capire che lei non sia di queste parti… mi sento di consigliarle di scappare appena può”. E invece sono rimasto e ho rilanciato… facendo una bambina!
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