Attualità
L’incredibile arte del fricc dal marghè
Ma davvero? D’accordo – con Enrico di Navarra – che Parigi val bene una messa, ma incantarla col “fricc dal marghè” mi sembra un po’ troppo. Eppure una prima pagina locale titola proprio così. Che Biella sia tra le quattro città italiane novelle candidate Unesco e bla bla bla, ormai ce ne siamo accorti tutti. Che, in questi giorni, una folta delegazione biellese col sindaco in testa sia nella capitale francese per promuovere la candidatura a città creativa, proprio alla corte della stessa istituzione, lo sappiamo ora a forza di comunicati stampa. Bene, ne siamo felici.
Meglio una medaglia in più che una in meno da spendere sul mercato del marketing turistico. Oltre al fatto che a mettere fuori il naso dai confini locali non può che far bene alla città e ai suoi amministratori. Tutto bene, quindi? Boh.
Qualche dubbio mi resta se dobbiamo incantare col “fricc dal marghé”, che m’immagino creativamente in competizione con l’arte rupestre dei nostri avi: uno disegnava sulle pareti della grotta e l’altro, biellese, cucinava come poteva quel che c’era, prima che si spegnesse il fuoco che aveva appena imparato ad accendere. Ma se, al palmares biellese, aggiungiamo la maglietta a righe per i gondolieri, da sempre uguale a se stessa, a fare il paio con i tecnologici abiti in esposizione non ne cambiamo la sostanza. Vero che l’Unesco sta marchiando un po’ di tutto: dai pupi siciliani ai tenori sardi, dalla dieta mediterranea ai pizzaioli napoletani, dal muretto a secco alla vite ad alberello e allora un posticino per noi ci sarà pure. Ma, oltre ad aver a suo tempo conquistato il mondo coi suoi incredibili tessuti, a Biella non pare proprio si sia storicamente premuto sull’acceleratore della creatività.
Anche se ora quel titolo le spetterebbe fosse solo per ospitare Cittadellarte di Pistoletto, la fondazione di uno dei maggiori artisti contemporanei a livello mondiale. Proprio quell’arte e creatività sulla quale gli imprenditori locali hanno investito per chiuderne le opere in qualche caveau, mica considerandola volano per la città. Così come costantemente nella nostra storia amministrativa i budget dedicati alla cultura – e allo sviluppo della creatività, ça va sans dire – già striminziti per loro natura, hanno subìto per primi tagli di bilancio di qualsiasi genere e per qualsiasi motivo. Ora, però, basterebbe dare un’occhiata veloce all’inchiesta di Report d’inizio anno per capire che, a fronte di un investimento notevole in un organismo che dovrebbe garantire la pace nel mondo, le ricadute effettive di questa operazione sono difficili da misurare.
“In sostanza, l’Unesco certifica che siamo belli, ma alla tutela concreta poi, gli Stati – e gli enti locali – devono pensarci da sé”. Quindi vedremo, poi, come saremo in grado di farlo. In ogni caso, standing ovation per la dichiarazione di Andrea Quaregna della Fondazione Cassa di risparmio, il quale sostiene che siamo: «consapevoli della forza del territorio e del percorso virtuoso che abbiamo compiuto insieme per creare un nuovo paradigma di sviluppo». Perché è proprio di quello abbiamo davvero bisogno: di un nuovo paradigma di sviluppo. E ora, nel frattempo e senza pudore, reinventiamoci pure come città creativa, che forse è proprio questo l’impulso più creativo che abbiamo avuto finora.
Lele Ghisio
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