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Le tradizioni vanno, vengono, si trasformano come si trasforma il mondo

Gli sbiellati, la rubrica di Lele Ghisio

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Fonzarelli di provincia

Adesso che si spengono i rumori, che le strade son deserte e silenziose e i polemisti della domenica del Giro d’Italia (lo dico in senso letterale, eh) prendono fiato per attaccare la salita a Oropa come da tradizione, proviamo a prenderci il tempo per far stare in equilibrio un ragionamento, laicissimo, che valga la pena di fare. Al di là della polemica di piccolo calibro sull’opportunità o meno di cedere la precedenza domenicale alla processione di Biella a piedi o al Giro in bicicletta.

Ora che si è anche spenta l’eco dei “l’abbiamo fortemente voluto”, che, statene certi, torneranno a risuonarci nelle orecchie la prossima primavera, tentiamo un approccio misto e non mistico: quello che miscela nello stesso bicchiere fede, soldi, turismo, sport, tradizione e futuro.

Sulle pagine di un quotidiano nazionale ho letto con attenzione un reportage da San Giovanni Rotondo, capitale meridionale del turismo religioso dotata di tempio ultimo grido (progettato da Renzo Piano, 6.000 posti a sedere) grazie a uno sforzo infrastrutturale enorme disposto per l’occasione, una ventina d’anni fa, della sùbita santificazione di Padre Pio, frate dalle stimmate controverse.

L’articolo riportava un preoccupante calo delle presenze al santuario: dalla decina di milioni del 2008/2009, in occasione della riesumazione del santo, agli attuali quattro milioni scarsi. Chi dice più, chi dice meno. Ma si dice anche che “ci sono 7mila posti letto, quando ne basterebbero 4mila”. Il risultato evidente agli occhi sono alberghi dismessi e abbandonati (vengono in mente Oropa Bagni e il Miravalle, ma in questo caso il fenomeno ha dimensioni ben più rilevanti e incidenti sul tessuto urbano), una enorme basilica praticamente vuota e lo sconforto cittadino: non si è rinnovato il miracolo economico del Santo Pio da Pietrelcina.

Intendiamoci, senza di lui non staremmo qui a parlare della località pugliese di cui, con tutta probabilità, non conosceremmo neppure l’esistenza: quel miracolo lì, per la città, in passato l’ha davvero fatto. Detto questo è opportuno chiedersi cosa sarebbe Biella senza Oropa, dal punto di vista della comunicazione e percezione turistica.

C’è da dire che sono tempi duri per la Chiesa cattolica – anche per le altre, a dir la verità – i cui grafici di adesione puntano verso il basso (meno 12% negli ultimi quattro anni), e lo conferma un recente sondaggio Swg. Va da sé come queste statistiche debbano per forza riflettersi sui dati relativi al turismo religioso: meno fedeli, meno presenze nei luoghi di culto. Perché la fede è anche un business, “come sa chi gestisce i santuari nel mondo, da Lourdes al più piccolo”. E il turismo religioso è un mercato povero, si sa: necessita di grandi numeri per fare cassa.

Il culto di San Pio sa però di effimera mitopoiesi pop, tipica di un ‘900 ormai lontano e testimonianza di una santità – e dei suoi alti e bassi – vissuta in presa diretta da una generazione intera sui giornali e in tv; mentre, per tornare al nostro santuario, il culto della Madonna Nera, al netto della nostra particolare affezione locale, può godere di uno zoccolo duro consolidato, per piccolo che sia, vista la sua ecumenica esposizione mediatica.

Sono dati che comunque ci possono preoccupare, se guardiamo a Oropa come meta di turismo religioso. Ma se analizziamo il caso, ci possiamo accorgere quanto Oropa si sia, di fatto, già trasformata in un “santuario laico”. Ossimorica definizione, per dire che lo storico gesto atletico di Pantani sulla salita di Oropa nel 1999 ha forse contribuito più della Madonna Nera a far conoscere il Sacro Monte ed è paradossalmente questo il miracolo che ci ha fatto la nostra Maria.

In prospettiva è certo un bene: la devozione turistica mariana potrà strategicamente essere integrata dalla devozione ciclistica (intendo nel marketing oropense, non di certo nei suoi contenuti religiosi). La quale dovrebbe godere anche di maggiore capacità di spesa dei suoi fedeli senza causare, nell’immediato, cali di popolarità. Non scherzo: basta fare qualche ricerca online per capire che al Prato delle oche parecchi ci vengono in pellegrinaggio ciclistico.

Ragionando in termini di leve per il marketing territoriale ci sarebbe da fare di Oropa la Santiago di Compostela del ciclismo. Per andare, finalmente, oltre la retorica del grande evento – come un arrivo di tappa da sbandierare – e del suo indotto, e per introdurre una programmazione e una comunicazione di ben più largo respiro.

Quindi, il gesto di “buona volontà” dell’Amministrazione del Santuario di rinunciare alla processione domenicale per celebrarla il giorno precedente, ha il sapore della lungimiranza e del pragmatismo. Che le tradizioni vanno, vengono, si trasformano come si trasforma il mondo. E c’è chi, dei politici nostrani, tra la sua messa domenicale e il Giro, non mette in discussione la sua fede. Ciclistica.

Lele Ghisio

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