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Attualità

L’arte tessile tra passato e futuro

Fra le righe, la rubrica di Enrico Neiretti

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La collina biellese, con le sue strade che si arrampicano sin sotto le montagne, è un luogo affascinante, carico di una potenza ancestrale, in cui si vedono le espressioni delle storie che hanno attraversato il tempo ed il territorio.
Soprattutto la parte orientale porta i segni di un’industria tessile che ha connotato in modo indelebile i luoghi, la cultura, la mentalità.

Le strade che salgono dalla pianura sono costellate da grandi capannoni, molti dismessi, e man mano che ci si inerpica nelle valli le architetture industriali si fanno più antiche, se possibile ancora più dimesse, persino ferite, testimonianze di un tempo ormai passato che però non si può separare dal presente.

Michela Cavagna è un’artista visuale e tessile. Vive e lavora in una casa vicino ad un bosco che domina dall’alto quella vallata che è quasi sinonimo dell’industria tessile, tanto da portare nel proprio nome questa storia e questa vocazione. Ma appena sopra, verso la montagna, il territorio è aspro, misterioso, di una bellezza selvaggia. Le vie che attraversano i boschi svelano una natura potente e straripante. La tensione tra l’industria tessile e la natura, tra le fibre dei tessuti e gli elementi dei boschi che cingono i paesi della collina, è rappresentata nell’estetica dell’opera di Michela.

Lei ha una formazione artistica ma ha anche una laurea in architettura; il suo percorso è un viaggio nelle forme e nei materiali che nasce dai ricordi di un’infanzia in cui le lavorazioni tessili sia in industria che in casa erano la consuetudine, ma che si sviluppa tra l’arte e lo studio delle forme alla ricerca di un altrove dove prendere le distanze dai segni invasivi di una cultura -la fabbrica- troppo presente nella vita delle persone.

Michela ha raccontato il suo percorso in una bella intervista raccolta da Barbara Pavan, curatrice della mostra di fiber art Fiberstorming che si è tenuta recentemente presso la fiera di Bergamo. In questo evento è stata esposta BLUE FOREST una grande installazione tessile di Michela:
«Le persone della mia famiglia hanno sempre lavorato nel tessile» racconta. «Mio padre ha lavorato in tessitura, mia madre ha iniziato facendo l’attaccafili, anche mia nonna lavorava in fabbrica e mi raccontava che percorreva ogni giorno la strada a piedi, uscendo di casa alle quattro di mattina. In quei racconti la fabbrica diventava per me simbolo di un ambiente opprimente, di un lavoro alienante che assorbiva la vita intera di donne come mia nonna. Quando si è trattato di scegliere la mia strada nella vita mi sono iscritta al Liceo Artistico e poi alla facoltà di architettura del politecnico di Milano».

Ma proprio la ricerca nel campo dei linguaggi dell’architettura ha riportato lo sguardo di Michela nell’ambito tessile: «Nei miei studi ho scoperto la figura di una delle pioniere del textile design, Anni Albers. La sua opera mi ha fatto pensare al design e all’artigianato tessile come possibile forma di comunicazione del mio pensiero».

Ecco che il lavoro di Michela inizia a delinearsi nell’ambito dell’espressione artistica attraverso l’utilizzo di materiali. Lo studio e la conoscenza delle fibre tessili si coniuga con il recupero dei gesti antichi e di una manualità artigiana ormai caduta in disuso.
Il suo percorso riceve un nuovo ed inaspettato impulso da un trasferimento in Indonesia dove ha vissuto per quattro anni. Qui ha conosciuto antiche tecniche di lavorazione ma è anche venuta a contatto con la vitalità dell’espressione artistica contemporanea del continente asiatico:

«In Indonesia ho praticato il batik con lo strumento tradizionale, ho studiato le forme dei tessuti tribali, ma sono anche entrata in contatto con l’arte contemporanea fortemente influenzata dai linguaggi che provengono da Singapore, dal Giappone, dal Vietnam, dalle Filippine e dalla Cina».

Mi affascina moltissimo questo percorso di Michela: il superamento di una quotidianità statica e pesante, la ricerca di nuove forme di realizzazione, l’incontro di un linguaggio -quello dell’arte tessile- che idealmente si lega alla cultura delle origini, il viaggio, il grande viaggio, in un luogo e in una cultura profondamente differenti dalle nostre consuetudini che svela la possibilità di un’unione tra tradizione e futuro.
Molto spesso la messa in discussione di ciò che è dato per scontato porta a rielaborare gli elementi della propria cultura in una chiave nuova. E il viaggio, l’esperienza agli antipodi, l’apparente allontanamento radicale dai propri costumi, è invece ciò che permette di tornare alle proprie radici con maggior consapevolezza.

Il lavoro di Michela mostra tutto questo: le origini, la distanza, la ricerca, il territorio, la natura, la materia, i gesti. Nelle sue opere le fibre tessili raccontano storie, esprimono le sue visioni, i suoi pensieri, le paure e le speranze, ma diventano anche espressione dei grandi temi del nostro tempo.
Enrico Neiretti

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