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Il trasporto locale che non c’è

Gli sbiellati, la rubrica di Lele Ghisio

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Fonzarelli di provincia

Eppur si muove. Pare che sia un’esclamazione sfuggita a un meravigliato Galileo, proprio mentre, dopo una cena particolarmente pesante, puntò per sbaglio uno dei suoi cannocchiali verso il Biellese piuttosto che verso il cosmo.

Uno stupore che presuppone il “nonostante”. Nonostante, presumo, i verbosi, e spesso stucchevoli, dibattiti peduncolari che periodicamente affliggono il territorio, spesso affidati a tesi sci-fi d’improbabili soluzioni. Spiego meglio, perché tra il dire e il fare c’è ancora di mezzo il mare e nel frattempo è passata qualche generazione: il peduncolo era un feticcio politico-elettorale sul quale si è dibattuto a lungo per collegare il territorio a un’autostrada qualsiasi per rompere l’atavico isolamento del Biellese nei confronti del resto del mondo conosciuto.

In questo frattempo che dicevamo non è successo nulla e quel mare di risaie resta ancora chiuso tra il dire e il fare. Ma ci si ostina, appunto, ciclicamente a dire. Eppure, seppure poco e male, ci siamo mossi comunque in entrata e in uscita dalle nostre lande, con le difficoltà del caso. Oggi dibattiti di questo tipo vanno e vengono, nel senso che seguono un loro carsico percorso, affiorando di tanto in tanto sulle pagine dei giornali con caratteristiche tra le più varie suggerite dai comunicati stampa di questo o quello.

Ne sono un esempio il deliberato raddoppio della Trossi e il guado sì o no sul torrente Cervo, suggerito per ovviare ai disagi che causerà la manutenzione Anas del ponte della tangenziale, prevista per la prossima primavera. A parte il fatto che, con un po’ di buona intenzione piuttosto che lasciarsi dire delle cose, sarebbe sufficiente avere statistiche di flusso del traffico, stabilire se esistono le condizioni progettuali e se ci sono i soldi per realizzarle, per poi passare ad altro e finirla lì. Però, come spesso ci accade, non è quello il punto.

Si legge di frequente di assestamento del traffico veicolare, con l’incomprensibile avversione degli automobilisti per ogni manutenzione messa in opera sul loro tragitto, e di rapidi collegamenti ferroviari con l’universo mondo torinese e milanese, ma, a mia memoria, mai che si sia ragionato – e non sproloquiato – sul trasporto pubblico locale. Il risultato è che abbiamo un territorio paradossalmente scollegato da se stesso.

Ci fu un tempo, perché ormai ci tocca di parlare sempre al passato, mannaggia, in cui frotte di autobus scorrazzavano nelle nostre valli per cucire il capoluogo al resto del territorio, in una geometria suggerita dalla presenza di fabbriche, e con orari scanditi dai turni, per dare la possibilità ai dipendenti di muoversi senza usare l’auto di proprietà. Altre frotte, durante l’anno scolastico, agivano sul fronte del “giro-scuole” per dare la stessa possibilità agli studenti. Tutto ciò con l’ammirabile risultato di soddisfare uno dei servizi pubblici essenziali: il trasporto.

Raggiungere con un autobus i paesi dal capoluogo e viceversa non era un problema. Poi sono venute meno le fabbriche e così il servizio, ridotto al lumicino, con l’inevitabile aumento del traffico veicolare in orari di punta. Vero è che il mondo cambia, e cambia in fretta, molto più che in passato, ed è possibile che il trasporto privato sia stato preferito a quello pubblico. Resta da capire se per scelta consapevole o per assenza di un servizio adeguato ai tempi che… corrono.

Qualche tentativo, a dir la verità, c’è pure stato, ma non sufficientemente supportato da un processo che potesse realmente incidere sull’approccio culturale della popolazione: non bastano una corsa sperimentale e un trafiletto di giornale ad annunciarla per cambiare un’abitudine.

Quello che non credo sia mai stata fatta, ma sarei pronto e felice a farmi smentire, è un’indagine cognitiva sulla mobilità personale all’interno del nostro territorio per capire quale soluzione potrebbe essere proposta per un servizio pubblico di trasporto sostenibile e utile alla popolazione residente, così come ai visitatori. Perché di turismo e residenzialità è sempre facile pontificare, ma in presenza di un territorio sconnesso diventa difficile mettere a sistema qualsiasi iniziativa.

Il vero paradosso è che ci fu un tempo in cui, spesso, si viveva nello stesso paese in cui si lavorava, mentre ora, che questa condizione non è più data, un servizio pubblico efficiente di collegamenti interni è di fatto scomparso. E non sto parlando di ripristinare linee di autobus, ma di approcciare nuovi ed eventuali sistemi di mobilità: micromobilità, mobilità solidale, servizi a chiamata agevolati da applicazioni. Che il tempo passa, e i paradigmi cambiano velocemente. A meno che ci piaccia stare fermi così come e dove siamo.

Lele Ghisio

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