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Il nuovo umanesimo dell’umarell

Gli sbiellati, la rubrica di Lele Ghisio

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Fonzarelli di provincia

Ancora questa volta e poi basta, giuro. Ancora per questa volta prendo a pretesto la notizia del giorno per esplorarne le implicazioni sociali che ci riguardano. Per un’ultima volta – giuro – tocco l’argomento dei lavori sul ponte della tangenziale. Lo faccio perché il mondo è sopravvissuto a una pandemia e non so ancora se sopravvivrà a questa catastrofe urbanistica, perciò meglio sparare subito le ultime cartucce, prima di sparire (alert metafora per pacifisti troppo zelanti o fuori contesto).

È appassionante osservare l’accadere intorno a questi lavori pubblici, che sono quasi meglio di una serie tv molto noiosa. È appassionante per trama e sottotrame, numerose almeno quanto i commenti che si avvicendano di bar in bar, di social in social, di giornale locale in giornale locale. Ci manca solo di uscire sui balconi per solidarietà con gli automobilisti in coda, anche se non lo faremo perché in fondo a noi interessa solo il nostro di disagio. A ognuno il suo, in una gara di surreale rappresentazione dell’ego che va da chi confessa di essere arrivato al lavoro con la schiscetta fredda a chi la sera ha trovato la pasta scotta al suo ritorno.

Agli amanti dei cult movie non può essere sfuggita l’epica analogia della grande mareggiata così attesa in “Un mercoledì da leoni” con questa madre di tutti i lavori pubblici in zona: c’è chi si avventura in mare e chi sta in spiaggia a commentarne le gesta. Tutti grandi esperti della tavola da surf, così come della logistica del lavoro stradale.

Guardiamo comunque con ammirazione chi si è avventurato sulla tangenziale piuttosto che alla ricerca di un percorso alternativo, prodighi di consigli e pacche sulle spalle, tutti condividendo la stessa indignazione. Senza nemmeno un moto di compassione per quei lavoratori che sotto la calura di luglio e agosto si prodigheranno per rendere più sicura la nostra percorrenza del ponte. Anzi, evocando le gesta degli operai cinesi, costretti a lavorare giorno e notte da un sistema che non prevede tutele di nessun tipo.

A tutti quelli che s’accatastano all’ora di punta lamentando che i lavori non si svolgono la notte – il che non è detto che comunque non accada – verrebbe da suggerire di invertire l’ordine dei fattori, che tanto il risultato non cambia: ci vadano loro a lavorare di notte. E spero si riesca a coglierne l’ironia, prima di crocifiggere anche chi ne scrive.

A proposito di tangenziale c’è da dire che abbiamo un precedente: quel ponte è crollato nel 1993. Erano altri tempi e purtroppo non abbiamo la sensazione del comune sentire di allora, anche se l’immagine del ponte crollato che gira tra un post e l’altro fornisce un’occasione imperdibile per chi commenta affetto da retrotopia fulminante, con tutta la retorica dei bei tempi andati. Che se non fosse stato per caso e per merito di un passante staremmo ancora qui a piangere i morti di una tragedia.

Visto però che adesso, con la tecnologia disponibile, stiamo facendo ogni cosa per essere protagonisti di una farsa, spacciamo la nostra frustrazione in tempo reale. Ho il sospetto che ci sia gente che parte da casa col commento nevrotico sulla punta delle dita, con la complicità dei media che spacciano in diretta la cronaca di un traffico che già ci era capitato di definire “dislessico”, figuriamoci ora.

C’è però da fare una nostalgica riflessione sulla questione dei bei tempi andati: questa indignazione digitalizzata ha tolto la scena all’”umarell”, il pensionato con le mani incrociate dietro la schiena intento a osservare i lavori pubblici e a commentarli a bassa voce. Il silenzio dell’umarell, a fronte del berciare cacofonico dei social. Ci sarebbe da tentarne un upgrade, un aggiornamento, magari un nuovo umanesimo con l’introduzione di nuove figure visto che ormai umarells lo siamo diventati tutti, e ben prima della pensione.

In questo florilegio di previsioni catastrofiche sull’andamento del traffico e in questo fare a gara tra chi ha subìto il disagio peggiore inferto dalla banalità del lavoro pubblico e necessario, non sono mica sbocciate riflessioni su quanto il nostro trasporto pubblico locale sia insufficiente e inefficiente. Né sull’utilizzo condiviso dell’auto per andare al lavoro, intenti come siamo a stracciarci le vesti per un problema che i milanesi in tangenziale e i romani sul Raccordo anulare vivono quotidianamente. Non che per questo ci debba andare bene qualsiasi vessazione, ma almeno renderci conto di quanto comunque ci si possa ritenere fortunati a subirla solo per un paio di mesi.

C’è anche da capirci, lo riconosco. L’approccio italico ai lavori pubblici non fa mai ben sperare e partiamo prevenuti. Così come, a nostra volta, partiremo a breve e pure felici di incolonnarci in autostrada per le vacanze. Ma di quello saremo contenti, ché la pasta non scuoce.
Lele Ghisio

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