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Il nostro Biellese è un territorio friabile

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Ogni secondo, in Italia, 2 mq di terreno vergine sono coperti implacabilmente da asfalto e cemento, con un ritmo più intenso della crescita demografica.

Il suolo aumenta la capacità di assorbire l’acqua delle piogge e attutisce gli effetti di alluvioni e frane, eppure è in balia di scelte miopi compiute da chi lo cementifica in cambio di consensi e di interessi. Cementificare significa sclerotizzare il territorio e renderlo friabile, portando la devastazione in caso di eventi climatici più violenti del passato.

Anche a Biella non siamo immuni dalla bulimia costruttiva: ha colpito lo scorso anno la scelta del Comune di saturare un terreno naturale con una colata di cemento per l’edificazione dell’ennesimo supermercato, in un quartiere in cui ce ne sono altri e molti edifici commerciali sono ormai sfitti.

Nei paesi la contraddizione è ancora più palese, con decine di case vuote in vendita che languono accanto a ville in costruzione su terreni, persino a ridosso di crinali di colline o su riporti artificiali.

L’assenza di pianificazione e di un coordinamento unitario a livello regionale e nazionale, incentivano una crescita urbanistica disarmonica, con sindaci che sovente, per non scontentare il cittadino, concedono permessi edilizi in zone critiche o aree naturali, anziché incentivare il più possibile la ristrutturazione, visto lo stato di abbandono in cui si trovano molti edifici nella nostra Provincia.

Si costruisce ancora troppo, male e dove non si sarebbe dovuto e si è dimenticato l’insegnamento della natura che riprende quello che le viene sottratto.

Al nostro Parse non occorrono amministratori solidali da sopralluogo post emergenza, o Presidenti di Regione più concentrati nelle passate legislature a costruirsi un ampio consenso elettorale con la distribuzione di contributi a pioggia ai piccoli enti anziché guardare al futuro preservando la vulnerabilità del territorio. Serve la capacità di programmare interventi di manutenzione che i comuni da soli non riescono a gestire.

Secondo il rapporto di ISPRA,  nel 2020 ogni nuovo nato italiano porta nella culla 135 m² di cemento.

Si tratta di un dato poco compatibile con un Paese, e una Regione, che vorrebbero definirsi moderni.

Vittorio Barazzotto

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