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I cinesi di Biella alle prese con la psicosi da coronavirus

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La psicosi da Coronavirus rischia di avere sgradite ripercussioni anche sui molti commercianti cinesi che vivono qui, che rischiano di perdere clienti. Abbiamo chiesto loro se e cosa sia cambiato dall’inizio dell’epidemia.
Un ragazzo che ha un negozio in centro in cui ripara e vende accessori per telefoni, è stupito della domanda, si segna il nome del giornale e poi risponde: «No, anzi, i clienti sono aumentati. Qui non siamo in Cina, lì la gente ha paura, non esce di casa».

Va peggio in un centro estetico non lontano da lì. La ragazza che ci lavora parla poco italiano, quel tanto che basta per comunicare di aspettare la sua collega. L’ingresso è tutto bianco, le luci sono fredde e dalla stanza accanto si sente la voce di una donna agée che probabilmente sta facendo la pedicure. Sul tavolino la prima rivista delle pila è “L’Espresso”, un giornale che non ti aspetti al centro estetico, ma questo luogo ha altre particolarità: gli orari da supermercato e accettare prenotazioni ancor prima dell’apertura.
Arriva l’estetista, che parla italiano meglio della collega, è qui da otto anni.
Alla domanda sul coronavirus e sulle differenze notate da quando è comparso, dice: «Sì, gli italiani sono razzisti. Quando cammino per strada, le mamme mi indicano e dicono ai bambini “coronavirus” e attraversano la strada per non incrociarmi. Io non ero in Cina quando è scoppiata l’epidemia, non ero neanche a Roma o a Milano, ero qui a Biella per avviare il negozio, Biella è isolata».
Il suo negozio è aperto da nemmeno una settimana. «Il primo giorno non è venuto nessuno, non ci sono tanti centri estetici in zona». Non lontano in realtà ce ne sono altri, lei però ha l’aria delusa di chi ha investito tempo, denaro ed energia per aprire un’attività e rischia di doverla chiudere perché c’è una psicosi collettiva.
Non è semplice nemmeno per le attività aperte da più tempo. Chiedendo a una barista del centro se è cambiato qualcosa, risponde: «Sì, ci sono clienti che vengono qui quotidianamente da quattro anni e si mettono una mano sulla bocca, quasi a imitare una mascherina. Ma se mi hai vista qui tutti i giorni per quattro anni, lo sai che è da anni che non vado in Cina. Anche i miei parenti sono qui vicino, a Brescia, anche loro non vanno in Cina da tanto. Nella mia città, che è grande come Biella, non c’è stato nessun caso, neanche uno».

La cassiera di un negozio di oggettistica varia (tutto tranne cibi e bevande) sostiene che lei vede sempre un gran via vai di gente, non lavora lì da molto ma non ha notato differenze.

«Non è cambiato niente, il razzismo c’era già anche prima – è invece l’amara constatazione di un altro barista -. A Milano è peggio perché la gente ha paura, così mi hanno detto i miei connazionali».
Un sarto e un parrucchiere non hanno voluto farsi intervistare e in generale si evince che le donne sono più propense a parlare degli uomini. Ma non è una regola assoluta e fortunatamente c’è anche chi non ha mai subito episodi di razzismo e lavora esattamente come prima: «Qui al bar non è cambiato nulla – spiega Qiu Shao Min, titolare del Lucxor di via Garibaldi -, non abbiamo notato differenze, la clientela è sempre più o meno la stessa. Probabilmente è peggio nelle grandi città. Un mio amico ha da poco aperto un ristorante a Roma e in questi giorni sta patendo tantissimo. Per quanto mi riguarda, sono in Italia da molti anni e a Biella dal 2017: in questa città non ho mai avuto problemi».
L’ultima tappa è al ristorante Perla d’Oriente di Gaglianico, locale storico che ora fa anche cucina giapponese.
La cassiera si chiama Cristina, è molto gentile e racconta: «Mio figlio stava giocando al parco con un altro bambino, un genitore ha portato via suo figlio scappando. Siamo tutti in Italia, siamo tutti uguali. E’ esagerato, è un virus che poteva diffondersi altrove. Dove abitano i miei nonni è tranquillo. In Cina le strade sono chiuse. Sono in Italia da più di dieci anni, non possiamo mica andare in Cina a comprare il cibo: potete venire al ristorante a mangiare tranquillamente».
Mostra un messaggio dal suo cellulare, è in italiano e in cinese: «Io non sono un virus, sono un essere umano, liberami dal pregiudizio, forza Cina».
La sua collega si chiama Alice, sono state gentili, ospitali, accoglienti, umane. Sono biellesi anche loro, e non perché gli è capitato di nascerci, loro ci sono venute. Facciamo in modo che possano restarci, perché sono sino-biellesi, non vivono altrove, vivono qui.

Matilde Carta

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