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Ecco perché sarebbe utile un ritorno alla “naja” obbligatoria

Un articolo di Giorgio Pezzana

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Biellese, alternativa alle metropoli. E’ di questi giorni la statistica secondo la quale il 42 per cento della popolazione italiana vive già oggi in piccoli comuni o borghi.

Fatti come quello accaduto l’altra sera a Viverone ove un bulletto, dopo avere spento una sigaretta sul tavolino di un bar, ha preso a pugni un addetto alla sicurezza che lo ha redarguito, mi convincono ancor di più che le associazioni d’arma, alpini e bersaglieri in testa, hanno ragione.

In Italia servirebbe il ripristino della leva obbligatoria, almeno per un anno, con priorità riservata ai servizi di protezione civile, senza però trascurare gli aspetti più propriamente militari, a cominciare dalla disciplina. Naturalmente l’idea non piace alle sinistre, che anche dietro alla divisa di un bidello vedono oscure trame golpiste, ma la quotidianità che ci propone il ripetersi di gravi fatti di cronaca legati sempre più spesso ad episodi di violenza e di intolleranza, dovrebbero indurre a qualche riflessione.

Ci rivelano, innanzitutto, la progressiva assenza delle famiglie e della scuola che dovrebbero essere il sistema educativo e formativo primario dei giovani. Inutile dire che ogni generalizzazione sarebbe non veritiera perché di ragazzi a posto e rispettosi delle regole imposte da una convivenza civile ve ne sono e sono anche molti.

Altrettanti sono però quelli che queste regole non riescono ad accettarle e che, pur senza necessariamente arrivare a gesti estremi, covano un rancore sordo alimentato da un malessere non sempre facilmente individuabile e che tende a trasformarsi in prepotenza e, ancor più, insofferenza nei confronti di qualunque tipo di autorità, da quella genitoriale a quella di uno Stato che con le sue leggi deve regolare una civile convivenza. Ecco, soprattutto in questi casi un ritorno alla vecchia “naja” avrebbe una sua utilità.

Già mi pare di sentire l’osservazione più ricorrente: tu pensi che con un anno di “naja” si riuscirebbe a raddrizzare chi è cresciuto storto? No, non lo penso. Ma credo però che quell’anno servirebbe a far conoscere una dimensione diversa, a cominciare da quella della convivenza, dovendo spartire per un certo periodo gli stessi spazi con le stesse persone.

Penso poi che potrebbe avvicinare molti ai principi della solidarietà laddove fossero incentivati gli interventi di protezione civile: credo che almeno per un anno molti imparerebbero il significato della parola “disciplina”, elemento indispensabile in un contesto in cui dalla disciplina di ognuno deriva il benessere di tutti. Non credo che tutto ciò potrebbe cambiare le persone, ma penso offrirebbe loro un’altra visione del mondo e quindi una opportunità in più per poter scegliere se gettare al vento la propria esistenza o trasformarla in un cammino che possa avere un senso per sé stessi e per gli altri.

Giorgio Pezzana

 

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