Attualità
Chi ha paura dell’uomo nero?
Gli sbiellati, la rubrica di Lele Ghisio
Tra i tanti pensieri strani che si possono fare ho avuto, di recente, una stramba reminiscenza legata alla mia infanzia e a quella di molti. Ho pensato a quando, da piccini, ci si addormenta o si dorme con una piccola luce accesa. Perché la luce allontana le paure e gli incubi che il sonno porta con sé, e svegliarsi di soprassalto dentro a un buio d’incognite, invece, quelle paure le amplifica fino all’orrore.
Ho pensato ai tempi duri che corrono e a quanto gli aumenti in bolletta possano essere a loro volta alimentati da queste paure infantili. Ho pensato a come fanno i bimbi del mondo quando la luce non c’è e c’è solo la paura: in zone di guerra o là dove l’energia elettrica è ancora sulla lista della spesa delle conquiste sociali. Bene, ora fate finta che io non abbia scritto niente: ci torniamo su più tardi, letterariamente parlando.
C’era un tempo in cui i giornalisti facevano il “giro di cronaca”, telefonando alle varie forze dell’ordine per capire quali interventi avessero fatto durante il giorno, o durante la notte, e a partire dalle telefonate approfondivano quelli più significativi che sarebbero poi apparsi sul giornale del giorno dopo in una breve o in un articolo a seconda della portata della notizia. L’avvento di Internet prima e dei social dopo hanno di parecchio cambiato le carte in tavola.
Ora le forze dell’ordine si sono omologate all’ansia da comunicazione che ha colto la società nel suo insieme e hanno canali lungo i quali il flusso di informazioni corre ininterrotto, dalla posta elettronica al sito web alla pagina Facebook, fino alla convocazione a domicilio di una conferenza stampa quando ritengono d’imprescindibile importanza la notizia che devono dare e dettagliare.
È a queste fonti che i giornali attingono e poi diffondono notizie, attraverso le stesse modalità d’uso della rete. Capita così che tra i post social di una testata, giusto per fare un esempio, siano di fatto indistinguibili una breve da un articolo intero; una notizia interessante da una banale. Il distinguo lo si può fare solo a posteriori, dopo la lettura; a differenza della carta stampata sulla quale è resa evidente agli occhi l’importanza che ne danno il giornale e l’estensore del pezzo.
Mettere nero su bianco questa procedura è utile per comprendere, e accettare, il perché ci si trovi spesso a che fare con notizie che non lo sono e sulle quali perdiamo, nostro malgrado, del tempo. Detto questo, francamente, come dovremmo porci di fronte a un titolo come quello apparso sulle propaggini web di una testata nostrana: “Vestito di nero e con il cappello preoccupa i passanti”? (Certo che l’ho letta! Con buona pace di chi gode delle statistiche online sul cui significato ci sarebbe parecchio da discutere, un’altra volta magari).
I Carabinieri di Biella hanno ricevuto la segnalazione di un “cittadino preoccupato” da una figura inquietante: un giovane tutto vestito di nero, cappello compreso. Secondo il “testimone” – siamo già al linguaggio giudiziario – aveva un “fare sospetto”. Quando i militari sono giunti sul posto del ragazzo non c’era più traccia (sembra un estratto da un romanzo di Simenon). E ci mancherebbe: se n’era semplicemente andato per fatti suoi, quelli che il cittadino preoccupato non si è fatto.
O, forse, non ha lasciato traccia perché era El Mariachi, oppure il Pinguino di Gotham City, o Macchianera, che ne so; o il sopravvissuto dei Blues Brothers, o magari don Diego de la Vega nei panni di Zorro. Quel che è certo è che non aveva un outfit rassicurante, come diremmo su un social trendy, e non rientrava in qualche sorta di omologazione accettabile: era diverso. Forse è stata una fugace apparizione del Ministro della Paura, la grottesca maschera da commedia dell’arte inventata da Antonio Albanese, ancor prima che ministri del genere esistessero davvero.
In realtà non era nient’altro che il Babau, il nostro personalissimo Uomo Nero. Del resto il passaggio dall’Uomo Nero all’uomo in nero è un attimo, per i subconsci timorosi. Si è diffusa una cultura del sospetto che non ha le radici filosofiche di Ricœur, ma quelle della paura. L’ossessione della sicurezza trasformata in paranoia pop, come se rischio e pericolo potessero non far più parte della vita stessa, e l’ordine e il controllo, come sosteneva il Ministro della Paura, facessero magicamente sparire la paura generata dalla paura stessa.
Distribuiremo psicofarmaci, vaticinava Albanese, e forse dovremmo. Perché la gente sta male, e la gente siamo noi. Tutto questo in una città con i più bassi indici di criminalità. Resta da chiedersi: ha un senso ricercare la logica di questa follia? O preferiamo la deriva, come opzione? Non è più il caso, superata l’infanzia, di dormire ancora con la stessa infantile paura. E la luce accesa.
Lele Ghisio
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Spillo
2 Maggio 2023 at 20:22
Condivido perfettamente, purtroppo oggi le persone “vedono troppa televisione” le loro fantasie non riescono trattenere, distogliendo le forze dell’ordine dal proprio lavoro.