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Antonio Sandri: 95 anni di storia

È stato direttore dell’Unione industriale, presidente della Cri e del Cerino Zegna

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Antonio Sandri (foto da Rete Archivi Biellesi): 95 anni di storia. Già direttore dell’Unione Industriale di Biella, già presidente della Croce Rossa, già presidente del Cerino Zegna.

Antonio Sandri: 95 anni di storia

Per quanto tempo è stato direttore dell’Uib?

Sinceramente, non lo so. All’Unione ho fatto carriera, sono entrato in un primo momento all’ufficio sindacale. Poi sono diventato direttore. Probabilmente nel complesso più di vent’anni.

Le capiterà di passare in via Torino davanti a quell’edificio, cosa prova?

Sì, mi capita e devo dirle che le prime sensazioni sono uno spaesamento, mi sembra di non riconoscerlo più. Sa, da quando io sono uscito non sono più rientrato lì dentro.

Come mai?

Per un motivo, anzi due. Innanzitutto, non voglio essere ingombrante. Sono stato tanti anni direttore e una figura come la mia quando torna dove ha lavorato, ingombrante lo è un po’ sempre. Sembra che io vada lì per mettere il becco, quindi non ci vado. Poi c’è una questione mia, affettiva: non rimango indifferente salendo quelle scale. Così evito.

Dopo di lei c’è stato Brocca.

Un ragazzo molto bravo, con il quale tuttavia ho avuto dei conflitti. Ed è tra l’altro uno dei motivi per i quali ho troncato con l’Unione Industriale in maniera decisa. Poi avvenne un contrasto con il presidente, all’epoca Barberis Canonico. Ricordo che sono entrato in una riunione di giunta, ho dato le mie dimissioni, e sono uscito sbattendo la porta. Ho poi fatto qualche anno ancora come consulente all’Associazione Laniera a Milano. E quindi un po’ i rapporti con gli industriali li ho tenuti, da un altro versante.

Lei ha condotto molte vertenze a quei tempi, ce n’è una che le è rimasta più impressa?

Nessuna in particolare, se non una delle prime, ma non ricordo per quale lanificio. All’epoca ero sconosciuto ma motivato. Piuttosto ricordo un aneddoto: ero entrato in riunione e avevo iniziato a parlare con i sindacalisti, tutti biellesi. Mentre parlavo vedevo dietro le loro spalle gli operai che annuivano con la testa. Porca miseria! Erano tutti quanti veneti. Io ho un accento veneto e questo mi ha fatto sentire non estraneo a quello che succedeva nel Biellese. Ho avuto sempre dei rapporti belli, costruttivi con i sindacati, specie con la Cgil.

La Cgil?

C’era un dialogo disteso, preciso, senza inganni reciproci.

Gli schieramenti erano netti. Adesso c’è gente di destra che fa dei discorsi di sinistra e persone di sinistra che fanno discorsi di destra.

Guardi, potrei parlarle di confusione ma preferisco dire che non capisco più. Quel colloquio con i veneti mi faceva sentire nel mio ambiente. Adesso, con questa confusione di ruoli, che non capisco, mi sento un estraneo. Io ho l’immagine degli operai che andavano su dei motorini sgangherati, che avevano una cuffia in testa, una sciarpa e d’inverno i guanti. Oggi tutti hanno una macchina comoda, che più comoda non si può.

Era meglio allora?

Altro giudizio che non so dare. Erano più felici i cacciatori che andavano alla ricerca del fuoco e non conoscevano ancora la ruota? L’aspettativa di vita era di 27 anni, adesso è di più di 80, ma per quanto riguarda felicità e completezza… Perché tutti pensano che un conto sia avere le cose e un altro è essere felici con le cose.

Dicono che gli industriali biellesi non sono andati al di là della coltivazione del proprio orticello, che non hanno saputo investire.

È abbastanza vero. C’è una mentalità che ho trovato negli industriali di Biella. Amavano l’azienda, come industriali. Dentro la fabbrica comandavano loro, fuori erano generosi e facevano tante cose per la comunità, però guai a entrare dentro la loro fabbrica perché lì comandavano loro. Così si sono chiusi dimostrando una bassissima capacità di modificare le cose e quindi di avere fantasia ed esplorare strade nuove. Infatti, sono stati superati da tutti, nessuno di questi si è inventato un filato nuovo, sono morti. Gli è mancata la capacità di rischiare.

Biella si rialzerà?

Sono pessimista. Se si incontra un qualunque giovane, laureato in qualsiasi materia, dove va a cercare lavoro? All’estero. L’industria tessile biellese non ha mai avuto bisogno di laureati, ma sempre e solo di periti. Infatti, le eccellenze della nostra città, notevoli in tutta Italia, se non in tutta Europa erano l’istituto tecnico tessile e la ragioneria, il cuore dell’azienda. Vedendo che i giovani non trovano più niente io divento pessimista. Ho due nipoti, una delle quali frequenta il liceo scientifico e l’altra l’università: non si fermeranno a Biella per lavorare in futuro.

Si dice che Biella è un dormitorio.

Certamente non è una città molto sveglia, però io ogni tanto vedo che ci sono iniziative molto belle, ma non hanno una continuità. Probabilmente ne ha di più la realtà di Pistoletto. Nonostante a me non piaccia il suo stile l’ho conosciuto, lo rispetto.

Oggi siamo al Cerino Zegna…

È il mio amore: ho lavorato 12-13 anni qua dentro. Quando sono entrato, non era una casa di riposo, ma un ospizio. Veniva gente disagiata e si diceva: “Almeno hanno un tetto, da mangiare e un cesso”. Quando si entrava c’era un odore sgradevole. Al piano di sopra c’erano dormitori da sei o dodici posti e un cesso, nel vero senso della parola. La prima volta che sono entrato, ho radunato il Consiglio comunale di Biella dicendo loro chiaro: “O mi date tanti soldi perché io possa rinnovare questo ambiente, o io chiudo il Cerino Zegna, perché è indecente”. Sono riuscito ad avere i soldi. Quando sono andato via ho lasciato un testamento: ricordarsi che tutti hanno diritto di essere felici.

Bisogna porre all’interno della casa di riposo l’obiettivo che quelli che ci sono siano felici.

Se nel bilancio ci sono soldi da investire nel garantire la felicità di tutti quanti, state tranquilli che la casa di riposo andrà bene.

La politica prende in considerazione gli anziani?

Ecco, non ci sono soldi per gli anziani, sono stati mangiati tutti. Il problema è anche che io non ho mai sentito parlare di anziani tanto quanto ne parlano adesso. Ma ho visto ben poche volte “fare niente” per gli anziani come capita adesso. Le rette per una casa di riposo sono, attualmente, intorno ai 3mila euro al mese. Guardatevi intorno, tra chi conoscete, chi è in grado di pagarle? Per farlo una persona vende la casa ma una volta finiti quei soldi, chi ce la fa?

Cosa farà Antonio Sandri da grande?

Adesso scrivo racconti e meditazioni, disegno a mano e modifico i disegni al computer. Lavoro anche con il legno.

Lei è felice?

Qualche volta sì, ma io e mia moglie diciamo che abbiamo una sorta di groppo in gola. Uno stato d’animo simile all’insoddisfazione. Ma io ho 95 anni, il diabete, mi fanno male gambe e piedi, però sono felice di vivere. Ogni tanto vado in chiesa a chiedere al Signore quale sia il motivo per cui mi ha dato 95 anni di vita.

La spaventa la morte?

No, mi spaventa il dolore. Ho letto una frase: “Io non credo in Dio, ma spero molto che ci sia”.
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