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Amore all’aperto, la meta preferita dai biellesi è la Burcina

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Tra gli itinerari proposti, quello per eccellenza è sicuramente la Burcina. Ormai divenuto il principale sinonimo di camporella biellese, il parco è seminato di pannelli informativi, in grado di orientare i forestieri verso il tipo di flora preferita, utilizzando diversi percorsi. Essendo però una metà di camporellisti, lo è anche per i guardoni. Viene raccomandata quindi la massima attenzione.

Una ventina di itinerari descritti nei minimi dettagli. Con questa impostazione, i due autori di “Sentieri selvaggi” hanno illustrato i luoghi della camporella biellese. Vi è una “scheda” per ogni metà, che si apre con una piccola tabella, contenente le principali caratteristiche dei luoghi da esplorare. Ci sono informazioni di ogni genere, come gli aspetti morfologici, i tempi di percorrenza e i livelli di difficoltà per raggiungere le mete, nonché i periodi più adatti a precorrere i tragitti. Uno spazio è poi dedicato ai cosiddetti “motivi di interesse”.

«Si tratta di un elenco di pretesti culturali – scrivono gli autori – per affrontare al meglio l’escursione. Così, se si è documentati si fa bella figura, mascherando le vostre reali intenzioni!» Tutti i luoghi sono descritti nei minimi dettagli. La fauna e la flora da ammirare, l’abbigliamento da indossare e i punti in cui “piazzarsi” per avere un po’ di intimità. Il racconto è intrigante e scorrevole.

Tra gli itinerari proposti, quello per eccellenza è sicuramente la Burcina. Ormai divenuto il principale sinonimo di camporella biellese, il parco è seminato di pannelli informativi, in grado di orientare i forestieri verso il tipo di flora preferita, utilizzando diversi percorsi. Essendo però una meta di camporellisti, lo è anche per i guardoni. Viene raccomandata quindi la massima attenzione.

Ma non c’è nemmeno bisogno di avventurarsi troppo in campagna, quando cala la notte. I giardini e i parchi cittadini, diventano col buio estremamente tranquilli ed intimi. E i migliori in proposito, sembrano quelli di Palazzo Ferrero al Piazzo. Qui, tra altalene e cespugli di biancospino, si ha tutto lo spazio necessario. Rimane altrimenti da salire in montagna, o scendere verso la pianura. Nel primo caso, i percorsi migliori sono il Tracciolino di Oropa (dove l’atto di “imboscarsi” può compiersi nel suo significato letterale) oppure le pendici del Monte Cucco, dove nemmeno l’automobile può avventurarsi. Nel secondo, si può scegliere tra le radure della Baraggia di Candelo e le rive del Cervo a Mottalciata, dove la vegetazione permette ancora di appartarsi in pianura. Se si desiderano poi mete particolari o monumentali, anche queste non mancano: il castello di Zumaglia, il laghetto di Bertignano, la chiesetta di San Secondo a Magnano, il santuario di San Giovanni di Andorno. E ancora molti spazi estesi, come la Bessa, la valle del torrente Ingagna, il colle di San Grato a Sordevolo, il Monte Castro, il Monte Rubello, le Rive Rosse e l’Alpe Noveis. Luoghi che a volte vengono dimenticati, ma proprio per questo, utili per chi abbia particolari intenzioni.

Al termine del manuale, un “epilogo” aiuta a capire se l’escursione sia andata realmente a buon fine. Gli innamorati avventurieri devono rispecchiarsi in frasi come «Avete perquisito ogni prato ed esplorato ogni bosco?», oppure «Quel fruscio era una volpe o una vipera?».

Infine, da non farsi sfuggire, tra le pagine del libro, un breve decalogo del camporellista. Una sorta di dieci comandamenti, da tenere sempre a mente per chi ama “l’amore in erba”, come «onora il prato e la macchia» e «non dimenticare… la gomma di scorta».

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