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Alberto Zanin, da operaio a imprenditore tessile

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Età a parte, sulla quale preferisce “soprassedere”, Alberto Zanin si dice disposto a raccontarci tutto della sua esperienza professionale, da operaio a imprenditore tessile. Oggi si è ritirato, è in pensione, e dal 1985 risiede in città. Di origini venete, ma nato a Trivero, racconta di un’infanzia trascorsa a Pistolesa, attualmente comune di Valdilana.

«All’età di 15 anni sono arrivato alla Romanina – spiega -, mio papà lavorava da Modesto Bertotto. Io ho iniziato da loro in finissaggio nel 1968. Sono poi passato alla Finsa, Finissagio Savio, come capo reparto del finissaggio e tintoria pezze, diventandone poi direttore. Nel 1976, alla frazione Falcero, avevo avviato “Azeta”, finissaggio conto terzi con altri soci, attività proseguita fino al 1995. Intanto avevo ideato il controllo qualità dei tessuti per i confezionisti. Dal 2000 ho portato avanti consulenze di nobilitazione di finissaggio e tintoria in tutto il mondo. Considero la filatura e la tessitura due scienze ingegneristiche esatte, in cui la figura dell’operaio ha la mansione di far procedere il lavoro, senza intervenire.

«Il finissaggio invece – prosegue Zanin – è arte che va incontro alla scienza. A monte occorre possedere sensibilità e gusto, e il ruolo dell’operaio è determinante. Le macchine possono essere tutte uguali, ma è l’uomo che agisce, è il know-how che possiede competenze diverse. Il nobilitatore, preparatore-tintore in pezza-apprettatore e finitore, deve saper gestire contemporaneamente processi chimici, termici, fisici e meccanici, abbinati a trattamenti idrici spesso complessi. È qui che si fa la differenza nella qualità del tessuto, nella sua “mano”. È il tatto che permette di capirlo, di percepirne il prestigio, che è una delle caratteristiche essenziali, oltre al colore, all’armatura, e di conseguenza del successo che avrà sul mercato».

Forte della propria esperienza, Zanin dice ancora: «Sono stato consigliere tecnico dell’Università di Aquisgrana, in Germania, uno dei politecnici più prestigiosi d’Europa. Ogni anno tenevo conferenze. Nel mio piccolo, volendo usare un termine gigante, ho inventato macchine innovative, non disegnate fisicamente, ma ideate, come il decatizzo-calandra in continuo e il lavaggio in continuo a tamburi. Ho portato idee anche per tingere in pezza, che è un’arte difficile. In tops e in fiocco è più banale. Mi è sempre piaciuto modificare le macchine, fare novità. Molte delle mie consulenze le ho fatte in Messico».

Possiamo fare un confronto fra il tessile di oggi e quello di ieri?
«Viviamo il dramma dell’azienda chiusa, che peggiorerà, perché mancano figure esperte, manca la nobilitazione, la capacità di essere artisti – risponde -. Si usa la tecnica, ma manca la percezione, la sensibilità, la capacità di personalizzare. In Turchia ci sono aziende enormi che producono le nostre stesse stoffe, idem in Corea. Bisogna invece ascoltare gli stilisti, distinguersi. Frequentandoli, ho imparato anch’io molto da loro. Ad Aquisgrana mi sono stupito della quantità di studenti turchi presenti, che chiaramente sono tornati a lavorare a casa loro con le competenze che noi Biellesi non applichiamo più. Servono “mani” particolari, non più la solita müda, abito finito nello stesso modo, abbinato allo slogan: “Abbiamo sempre fatto così”. Nei negozi delle grandi firme sempre meno troviamo i nostri tessuti, perché ormai sono tutti uguali. L’Italia è sempre stata ricercata per la propria artigianalità, alla quale dovremmo di nuovo necessariamente tornare.

«Altro aspetto determinante, che richiede coscienza e coerenza, è la qualità dei rapporti umani. I problemi che travagliano molte nostre ditte derivano dalle risorse, appunto, umane. Senza la capacità di esser interattivi con continuità di soluzioni, il sistema azienda non funziona. Per quanto mi riguarda, inoltre, ho sempre pensato che si debba lavorare per vivere e non il contrario – conclude Alberto Zanin -. Un motto di vita che non ha mai riflettuto la mentalità biellese, tant’è che mi definisco “un Norvegese”».
Anna Arietti

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