Attualità
Adriano Guala: «I piccoli negozi scompaiono e noi perdiamo umanità»
L’ex primario di Geriatria, 86 anni, ricorda com’era la città nel Dopoguerra
COSSATO – La città cambia. I piccoli negozi scompaiono, fonti di approvvigionamento e di aggregazione che non ci sono più. A parlarne è il dottor Adriano Guala, 86 anni, già primario di Geriatria all’Ospedale, oggi in pensione.
Adriano Guala: «I piccoli negozi scompaiono e noi perdiamo umanità»
«Parlando con un amico, ci vennero in mente le panetterie di via Martiri, fra borgata Broglio e Mastrantonio, e ne contammo otto chiuse. Ci pensai ancora di notte, quando non dormi più e il pensiero saltabecca, e cercai di localizzarle. In via per Castelletto c’erano i negozi dei Lorenzon e di Tito e Lina, all’incrocio con via Martiri, s’incontravano due piccolissime attività dei Corteccia e della Lucia con la butighin-a, – la botteghina -, più avanti la Quinta, l’Anselmo, la Maria e una panetteria, chiusa di recente. Verso la discesa dei patachin dal Bröi, cosiddetti forse per la cura nel vestirsi, c’erano la Ebe Quazza e il Fredo, Alfredo Aguggia, grande sportivo, con Cisa e Fernanda, in cui ci servivamo noi. Nell’angolo con via Tarino, vi erano la censa del Bertola e il mininegozio del Gasparetto, poi la panetteria con due gradini e in via Alighieri il Micheletti. Ora sono tutti chiusi».
Ci sono altre attività scomparse?
«Nelle scorribande della memoria, ricordo i barbieri, l’Aurelio nell’angolo con via Quintino Sella. In via Martiri il Gianni e l’Arturo Mombello, da me frequentati. Su via Alighieri il Luciano, convinto ecologista ante litteram, deceduto in giovane età. E penso a quattro macellerie, al Mastrantonio, in via per Castelletto del Colombo, in via Martiri del Dante, all’inizio del Broglio del Borio, in via Alighieri del Paschetto e la salumeria Patriarca. C’erano anche un’edicola e una locanda. Soltanto nelle due borgate mancano più di venti attività».
Cosa ha portato alla trasformazione?
«Dopo la guerra di ricchezza ce n’era ben poca – prosegue -. C ’erano gli sgnur, benestanti, ben pochi, e gli altri moderatamente o severamente poveri. Nell’Italia del miracolo, la regola era accontentarsi del poco che si aveva. La mia era una famiglia di contadini con tre maschi che lavoravano anche in fabbrica, tutto sommato non povera, ma vigeva il comandamento che niente andava sprecato e tutto tornava utile, fin-a i unge par plé l’ai – perfino le unghie per pelare l’aglio -. Il brutto per me era che avevamo quattro mucche, il latte abbondava, e dopo averlo venduto, ne rimaneva ancora troppo e per sei sere alla settimana si mangiava minestra al latte, con fagioli, castagne, patate e altre leccornie che odiavo. Solo a 14 anni ho potuto farmi, cucinandola io stesso, la minestra con il dado. I negozi proponevano merci essenziali, come sale, zucchero, baccalà, acciughe sotto sale, cioccolato e dolcetti. Frutta e verdura erano dell’orto e il vino della vigna. Con l’aumento della disponibilità economiche, eravamo ancora nel “miracolo economico”, si pretese di avere di più e le persone si spostarono contando sulla seconda causa: la motorizzazione con la Seicento, dal 1955. Altro fattore, l’apertura degli ipermercati, con prezzi mediamente inferiori. Non si contava più sulla fiducia del negoziante, ma sui prodotti di “marca”. L’ultimo elemento è stato il frigorifero, che portò a fare la “spesa grande” che si poteva conservare, invece della piccola spesa quotidiana».
Dottor Guala, cosa abbiamo perso?
«Abbiamo perso umanità, il rapporto confidenziale con il negoziante e gli altri frequentatori, quella conoscenza del cliente e delle sue preferenze, quel gesto amichevole che offriva l’assaggio di qualcosa che era appena arrivato. Per molti clienti, il titolare apriva quasi un conto, un libretto in cui segnava i costi e si pagava quando arrivava la quinzada, il salario che veniva pagato ogni 15 giorni. Ricordo benissimo quando Fredo diceva: “Marca, Cisa”- segna – e lei annotava. Quando si entrava nel negozietto si era qualcuno: la Giuaninn-a, il nipote del Gusto, la nuora della Gilda. Oggi quando entro nel supermercato, sono nessuno. Le attività di vicinato avevano un grande valore sociale, di aggregazione. Come dicevano gli antichi romani: mala tempora currunt – tempi brutti – e aggiungevano sed peiora parantur – ma se ne prospettano di peggiori -, con le consegne a domicilio prenotate via telefono. Per non disperarci però, consideriamo che nessun essere vivente sa adattarsi meglio della specie umana».
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Steap63
5 Luglio 2024 at 22:26
Considerazioni condivisibili ma i piccoli negozi non hanno dei prezzi proprio concorrenziali e economici..