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“Vecchio ospedale? Sul gigante di via Caraccio serve un’ampia intesa”
Scherzando un po’ sulla cena di venerdì sera che ha aperto la nostra sfida, si diceva “mangiamo prima, che dopo c’è da lavorare”. Scherzavamo, ma non troppo: il lavoro, che spero duri almeno cinque anni più a lungo di questa campagna elettorale, significa “fare cose” per questa città, dire con chiarezza quali sono i suoi problemi e con altrettanta chiarezza proporre le soluzioni.
Gentile Giuliano Ramella,
scherzando un po’ sulla cena di venerdì sera che ha aperto la nostra sfida, si diceva “mangiamo prima, che dopo c’è da lavorare”. Scherzavamo, ma non troppo: il lavoro, che spero duri almeno cinque anni più a lungo di questa campagna elettorale, significa “fare cose” per questa città, dire con chiarezza quali sono i suoi problemi e con altrettanta chiarezza proporre le soluzioni. L’elenco forse lo conosce quanto me: che ne sarà, per esempio, del vecchio ospedale? Davvero un’amministrazione comunale non ha armi per trovare una via d’uscita alla crisi del commercio? È possibile gestire il patrimonio pubblico come strade, edifici, spazi verdi e sportivi, in modo da non mandarlo in rovina, costringendo a spese e progetti più onerosi? È possibile – e le confesso che questo è un punto a cui tengo particolarmente – dotare Biella di un sistema di servizi sociali degno di una città delle sue risorse e dimensioni, in un momento di crisi in cui si sente più il bisogno di ridurre le diseguaglianze e restare accanto ai più deboli?
Mi concentro sul tema che lei ha indicato sul giornale di sabato, il vecchio ospedale in via di dismissione. Il primo problema, ed è un problema immediato che richiede risposte immediate, si porrà nel momento stesso in cui avverrà il trasloco: un’enorme area al centro della città rimarrà di punto in bianco vuota. E quindi diventerà potenzialmente degradata e abbandonata, se non si metteranno in atto progetti per riutilizzarla fin da subito. Un esempio? Offrire gli spazi dell’ospedale come beni comuni urbani, in amministrazione pubblico-privata (penso ad associazioni di volontariato o con finalità artistiche), considerando anche che quello è il luogo ideale per dare visibilità ai progetti di riutilizzo a lungo termine, partendo da quelli usciti dal concorso d’idee indetto dal Comune. Un’altra soluzione è creare degli spazi destinati a parcheggio all’interno dell’area, garantendo l’afflusso di persone e aiutando il commercio nel centro cittadino.
Questi temi non potranno essere calati dall’alto, ma dovranno essere il frutto di un’ampia condivisione con i cittadini. E dovranno tener presente punti irrinunciabili come la sostenibilità economica (davvero la città, in un momento di crisi del mercato immobiliare e di abbondanza di alloggi sfitti può permettersi un altro enorme blocco residenziale?) e quella ambientale, pensando al risparmio energetico e a soluzioni che comunque non aumentino i volumi di cemento e il consumo di suolo in centro arrivando, se necessario, a demolire parti della vecchia struttura.
Tanti di questi temi emergono già dai progetti del concorso di idee: penso anche al social housing, agli spazi di coworking, di aggregazione giovanile, alla promozione di servizi, formazione, agli spazi per gli anziani, ma anche per start up innovative, scuole sperimentali e di agroecologia.
L’amministrazione attuale lascia il tema in sospeso e lo svincola da ogni rapporto con il territorio, con la partecipazione dei cittadini e del tessuto sociale/produttivo/culturale/storico al processo decisionale. È necessario, invece, articolare un percorso anche conflittuale ma con un confronto forte, organizzato, in grado di individuare le linee guida di questa riconversione, evitando di limitare in partenza il dibattito sul pro o contro singole ipotesi. Non un generico concetto di “partecipazione” referendaria dei cittadini ma l’attivazione di strumenti precisi, assolutamente normali in percorsi di realizzazione di opere pubbliche in giro per l’Europa. È proprio quello che l’attuale amministrazione non ha avuto la capacità di fare: il concorso di idee è la foglia di fico che nasconde l’incapacità di una progettazione sociale, economica, ambientale, con il rischio reale di avere utilizzato significative risorse economiche e di ritrovarsi al punto di partenza.
Scegliamo il meglio, insomma, condividiamolo con i cittadini, arriviamo a un’intesa che sia la più ampia possibile su che cosa fare del gigante di via Caraccio. Ed esploriamo la possibilità di farci aiutare dai finanziamenti europei per la riqualificazione. Vorrei che due dei punti fondanti del mio lavoro fossero la partecipazione e il gioco di squadra. La decisione su che cosa fare del vecchio ospedale mi sembra una perfetta palestra per metterli in pratica.
Con stima,
Marco Cavicchioli
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