Eventi & Cultura
Il partigiano nero che morì per la libertà
Non crediamo di sbagliare affermando che a molti biellesi il nome di Giorgio Marincola non dice nulla, nonostante la presenza in città (a Chiavazza) di una via a lui intitolata; si è d’altronde dovuto attendere fino al 2008 prima che due ricercatori romani, Carlo Costa e Lorenzo Teodonio, al termine di un lavoro di ricerca iniziato tre anni prima, dessero alle stampe la sua biografia, riportandone così alla luce la vicenda.
Nella ricorrenza del 70° anniversario della Liberazione rievochiamo qui una vicenda poco nota al pubblico che riguarda la figura di un combattente per la libertà di origine non biellese, ma che sul nostro territorio visse un periodo molto importante della sua esperienza resistenziale: si tratta di Giorgio Marincola, giovane studente di medicina nato in Somalia da padre italiano e madre somala, il quale operò nel Biellese come membro della missione alleata Bamon tra la fine di agosto del 1944 e la metà di gennaio del 1945. Catturato dalle SS e condotto a Villa Schneider, fu in seguito inviato al carcere Le Nuove di Torino e da lì al campo di concentramento di Bolzano. Liberato il 30 aprile 1945, morì quattro giorno dopo nei pressi di Stramentizzo (Trento) ucciso dai tedeschi. Nel 1953 fu insignito della medaglia d’oro al valor militare alla memoria.
Di Rolando Magliola (da La Nuova Provincia di Biella, 25/4/2012)
Non crediamo di sbagliare affermando che a molti biellesi il nome di Giorgio Marincola non dice nulla, nonostante la presenza in città (a Chiavazza) di una via a lui intitolata; si è d’altronde dovuto attendere fino al 2008 prima che due ricercatori romani, Carlo Costa e Lorenzo Teodonio, al termine di un lavoro di ricerca iniziato tre anni prima, dessero alle stampe la sua biografia (“Razza partigiana. Storia di Giorgio Marincola”) riportandone così alla luce la vicenda.
Giorgio Marincola nacque il 23 settembre 1923 nel piccolo presidio italiano di Mahaddei Uen, in Somalia, da Giuseppe, maresciallo maggiore di fanteria, e da Aschirò Hassan; il padre riconobbe sia lui che la sorella Isabella (nata nel 1925) ed entrambi acquisirono così la cittadinanza italiana. Rientrato in Italia, Giuseppe Marincola sposò Elvira Floris e si stabilì con la moglie e con la figlia Isabella a Roma; Giorgio rimase invece con gli zii Carmelo Marincola e Emilia Calcaterra (che non avevano figli) a Pizzo Calabro, paese di origine del padre. Rientrato a Roma nel 1933, all’età di dieci anni, Giorgio fu iscritto al Regio Liceo “Umberto I”, dove frequentò cinque anni di ginnasio e tre di liceo; nei primi due anni del corso liceale ebbe come professore di Storia e filosofia Pilo Albertelli (attivo antifascista, animatore del movimento liberalsocialista e co-fondatore del Partito d’azione) il quale contribuì in maniera decisiva alla maturazione del suo antifascismo.
Nel 1941 il giovane italo-somalo si iscrisse alla facoltà di medicina dell’Università di Roma. Durante l’occupazione tedesca, Giorgio Marincola entrò a far parte del movimento clandestino facente capo al Partito d’Azione romano. Nel marzo del 1944, dopo l’arresto di alcuni componenti dell’organizzazione (tra cui lo stesso Pilo Albertelli, che fu poi trucidato alle Fosse Ardeatine), si allontanò dalla capitale e entrò in contatto con le formazioni partigiane che operavano nel Viterbese, acquisendo così le prime esperienze nel campo dei sabotaggi e degli scontri a fuoco. Dopo la liberazione di Roma Marincola, non ancora ventenne, si presentò al comando dello Special Operations Executive inglese offrendosi volontario per l’arruolamento. Entrò così a far parte dell’Organizzazione della Resistenza italiana (ORI) guidata dal capitano Antonio Conti. Su finire di agosto ’44, con il grado di tenente e il nome di battaglia “Mercurio”, fu scelto per entrare nel gruppo della missione Bamon, i cui obiettivi erano la messa in atto di azioni di sabotaggio, la salvaguardia di infrastrutture e il salvataggio di prigionieri alleati. A seguito di un incontro tra il comandante della Bamon, Lionello Santi, e Edgardo Sogno, fondatore dell’organizzazione partigiana “Franchi”, la destinazione della missione (che in origine doveva essere la Lombardia) mutò: il gruppo fu infatti paracadutato nella notte tra il 20 e il 21 agosto su un campo nei pressi di Zimone, dove fu accolto dagli uomini della brigata “Carlo Cattaneo” (VII divisione “Giustizia e libertà”) comandata da Felice Mautino “Monti”, il quale aveva installato il suo comando nel castello di Mongivetto. Santi e Sogno proseguirono poi per Milano, mentre la Bamon rimase ad operare nel Biellese: come lo stesso Sogno ha ricordato, essa “avrebbe coadiuvato l’organizzazione [Franchi] nelle sue varie attività valendosi di tutti i nostri servizi [.] in particolare avrebbe provveduto a formare, istruire ed equipaggiare gruppi di attivisti sabotatori destinati ad operare nella zona contro le comunicazioni e il traffico su strade, autostrade e linee ferroviarie (Torino–Milano e Torino–Ivrea–Aosta)”.
Il 15 settembre, durante l’attacco ad una colonna di autocarri sulla strada Cavaglià – Ivrea, Giorgio Marincola fu ferito ad una gamba: “Con un gruppo GL più Garibaldi – scrisse nel suo rapporto Eugenio Bonvicini – abbattiamo un generale tedesco [.] a colpi di mitra e bombe a mano [.] I tedeschi rimasti indenni aprono il fuoco con una mitragliatrice pesante. Altri mezzi arrestatisi prima dell’imboscata, ci muovono contro, tentando un aggiramento. Mentre sono incerto se sganciarmi o tentare uno sfondamento, vedo Mercurio [Marincola] gettarsi, con grandissimo coraggio e sangue freddo, all’assalto del corazzato con bombe a mano; lo seguo con l’intero reparto GL, e riusciamo a distruggerlo [.] Mercurio è ferito abbastanza seriamente ad una gamba [.] Nessun danno maggiore: l’addestramento era stato valido e Mercurio dimostra di aver ben meritato il grado di tenente”.
Verso la metà di novembre alla Bamon si affiancò la missione inglese Cherokee, inviata sul posto per cercare di mediare tra garibaldini e giellisti, che in quel periodo intrattenevano tra loro rapporti assai tesi; “Mercurio” fu incaricato di organizzare un servizio informativo e lavorò a stretto contatto con il capitano inglese Jim Bell, il quale, molto duro nel giudicare gli uomini della Bamon, si espresse così sul giovane italo–somalo: “Secondo me, Mercurio era l’unico della missione Bamon che desiderava realmente fare qualcosa e non sprecare il suo tempo e denaro a divertirsi”. Marincola, con il radiotelegrafista Gabriele Ricci “Gabory”, si impegnò anche ad attivare un servizio di collegamento tra l’organizzazione Franchi e il CLNAI di Milano: il 17 gennaio 1945, di ritorno da un viaggio nel capoluogo lombardo, fu arrestato dai tedeschi a Zimone (lo stesso giorno le SS catturarono a Magnano anche il comandante della Cherokee, il maggiore Alistair Macdonald) e condotto a Villa Schneider, sede del comando Sipo – SD di Biella, per essere interrogato; richiesto delle sue generalità, affermò di chiamarsi Renato Marino. La sera del 18 gennaio Giorgio Marincola fu portato dinanzi ai microfoni di radio Baita, l’emittente installata al primo piano di Villa Schneider che dall’inizio di gennaio ’45 era utilizzata dalle SS come strumento propagandistico di lotta antipartigiana. La trascrizione della trasmissione effettuata dai funzionari di P.S. di Biella non lascia dubbi sul disprezzo nutrito dai nazisti nei confronti di un ragazzo che, ai loro occhi, aveva la “colpa” non solo di essere un partigiano ma anche di avere la pelle nera: “Abbiamo guardato il negro e fatto le nostre riflessioni [.] era ben vestito, si vede che guadagnava bene con i partigiani [.] Era studente in medicina. Idea sbagliata, che [sic] si fa curare da un medico negro? Ho sempre pensato che nel medico bisogna avere [.] la massima fiducia perché a lui si affida la nostra persona. Questo qui non potrà mai essere un medico e credo che neanche i partigiani vorrebbero essere curati da lui”. Eugenio Bonvicini e Federico Bora (partigiano giellista attivo nel Biellese) affermarono in seguito che Marincola non si lasciò impressionare e stupì il suo interlocutore (il tenente delle SS italiane Antonio Beghetto “Marforio”), che lo stava interrogando sul perché combattesse con gli inglesi, pronunciando queste parole: “Sento la patria come una cultura e un sentimento di libertà, non come un colore qualsiasi sulla carta geografica. La patria non è identificabile con dittature simili a quella fascista. Patria significa libertà e giustizia per i Popoli del Mondo. Per questo combatto gli oppressori .”.
Non riuscì a terminare la frase: le SS lo aggredirono percuotendolo in modo così violento da provocarne il ricovero all’ospedale di Biella. Alla fine di gennaio Giorgio Marincola fu trasferito al carcere Le Nuove di Torino, per essere poi assegnato al campo di concentramento di Bolzano. Trovò la morte il 4 maggio 1945, a guerra ormai conclusa, per mano delle SS di un reparto che si stava ritirando verso il Brennero: aveva solo 21 anni.
NELLA FOTO: Giorgio Marincola, terzo da destra, insieme ad alcuni partigiani della Brigata Giustizia e Libertà Cattaneo (Foto tratta da La Resistenza nel Biellese, di A. Poma, G. Perona – Biella, Libreria Vittorio Giovannacci, 1978)
FONTI:
- Carlo Costa, Lorenzo Teodosio, Razza partigiana. Storia di Giorgio Marincola, Iacobelli, Albano Laziale 2008, e sito web www.razzapartigiana.it
- Edgardo Sogno, La Franchi. Storia di un’organizzazione partigiana, Il Mulino, Bologna 1996
- Rolando Magliola, Collaborazionismo nel Biellese: radio Baita, in l’impegno, anno XXIX, n.2 dicembre 2009
- Archivio di Stato di Torino, Fondo Corte di Appello di Torino, Sezione Istruttoria, cause per collaborazionismo, Fascicolo di Boggio Franco, Vernetti don Giuseppe, Sbicego Antonio
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