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Aldo Sola: antifascista, laico, libertario

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In occasione del compleanno del partigiano biellese, pubblichiamo la lunga intervista che Aldo Fappani realizzò il 7 febbraio 2009, nella quale il medico di Vigliano raccontò la propria vita

Buon compleanno, Aldo Sola.

Oggi il partigiano biellese compie cento anni, per l'occasione riproponiamo la lunga intervista che Aldo Fappani gli fece esattamente cinque anni fa, pubblicata su La Nuova Provincia di Biella il 7 febbraio del 2009 per celebrare le sue 95 primavere.

Il signor Aldo Sola ha 95 anni. E' un biellese che ha vissuto la propria esistenza con encomiabile impegno da uomo volenteroso, sensibile, altruista. Nato a Buenos Aires il 7 febbrario 1914, è di origini valdenghesi. Il papà Abele, ciabattino e contadino classe 1884, e mamma Angela Squillario, casalinga e contadina classe 1887, furono bravi genitori che lo educarono anche ai valori preziosi di onestà, laboriosità, solidarietà.

Aldo è cugino di Luigi Sola, noto socialista di Valdengo che a Biella fu tra i fondatori della "Società Operaia Archimede" di meccanica e che nelle elezioni del 1914, come consigliere provinciale uscente nel collegio di Cossato, stravinse contro l'avversario radicale, il conte Augusto Avogadro di Vigliano.

Aldo si laureò in Medicina a Bologna, ma richiamato alle armi nel 1941 fu poi tenente degli alpini nel Battaglione "Monte Bianco" a presidio di Trieste e Muggia. Dopo l'otto settembre 1943 rimase in zona quindi entrò nella Resistenza locale e ai primi del 1944 fece il medico ai G.a.p., divenendo responsabile sanitario del Battaglione "Alma Vivoda" che operò in Istria sino alla Liberazione.

Nel dopoguerra a Vigliano, dove abitava con la moglie, ha fatto il medico di base della mutua e il pediatra sino al 1985. Dopodiché ha scritto numerosi articoli, saggi, libri, dimostrando capacità letterarie e di ricercatore di storia locale. Negli anni Settanta per una decina di anni si iscrisse al Pci nelle cui fila venne eletto sindaco per due legislature. Notevole fu il suo impegno nel sociale per la tutela dei portatori di handicap e la lotta contro le malattie mentali aderendo alla visione basagliana e di Psichiatria Democratica della problematica.

Sposatosi due volte è divenuto padre di quattro figli, due maschi e due femmine. Nella intervista che segue il dottor Aldo Sola stupisce per disponibilità e lucidità nei ricordi.

La sua esistenza è stata segnata da innumerevoli avvenimenti, ce ne rammenta alcuni?

Dall'Argentina fu con soli 7 anni che tornai a Vigliano e poi a Valdengo. Il paese era diverso da come è oggi. C'erano meno costruzioni, ma vigne, campi, prati, boschi erano ben tenuti e coltivati. Nel 1923 morì nostro cugino Luigi Sola e ricordo la tantissima gente che partecipò forse all'ultimo funerale in civile colà svoltosi. Tra costoro c'erano noti dirigenti socialisti tra cui Rondani, Garizio, Momigliano, Mombello, Scaramuzzi, Garbaccio, Luisetti, Quaglino, Perotti, Bertoglio, Catella.

Allora andavo sempre a piedi alla fiera a Biella o a Cossato. Così come più avanti a pescare barbi, cavedani e anguille (di notte) nel torrente Cervo sino al ponte di Castellengo. O andavo a funghi nel "baragiun" di Candelo tra l'alta erba Molinia. O in gita tra giovani lassù a Oropa. Frequentai tre anni di Ginnasio inferiore a Biella presso i Salesiani e poi sempre in città feci 2 anni di Ginnasio superiore e tre anni di Liceo. Otto anni di studi umanistici tra cui le materie di latino e greco.

I miei genitori per potermi fare studiare si erano persino indebitati per cui, anche per riconoscenza, mi impegnavo con serietà, riuscendo bene. Come compagni a scuola ebbi diversi figli di altolocate famiglie borghesi tra cui dei Sella, Rivetti, Sormano, Poma, con i quali nacque una sincera amicizia che resistette nei decenni.

Ma circa il fascismo, la seconda guerra mondiale, la lotta di Liberazione cosa ci può dire?

Vivevamo con un regime totalizzante e una propaganda ossessiva in ogni ambito della società per cui era normale diventare balilla, avanguardisti e frequentare il servizio detto " premilitare " al sabato pomeriggio. Io stesso nel 1935 e 1936 a Pisa feci corsi speciali per la milizia universitaria che mi permettevano di anticipare il servizio di leva obbligatorio prima della fine degli studi.

Infatti nel 1937 intrapresi il corso per allievi ufficiali a Bassano del Grappa e poi, come sottotenente di prima nomina degli alpini, per sette mesi fui in servizio nel Battaglione "Saluzzo" al 2° Reggimento di Cuneo. Ma il primo settembre 1939 le truppe naziste di Hitler invadono la Polonia, dando inizio alla seconda guerra mondiale, e nel 1941 da universitario a Bologna sono richiamato alle armi presso il 4° Reggimento alpini – Battaglione "Val Toce" a Intra, finendo poi a Trieste e Muggia con il Battaglione "Monte Bianco".

Nel Carso e in Istria facevamo un servizio continuo di controllo e pattugliamento sul territorio sapendo che la resistenza slava era attiva sin dal 1940. Ma con l'otto settembre 1943 tutto cambiò. Da alleati dei tedeschi diventammo nemici. Così mentre io e alcuni compagni di distaccamento fuggimmo, aggregandoci in seguito ai partigiani locali, molti altri finirono prigionieri in Germania. La situazione in quelle zone era difficile anche perché il regime dittatoriale mussoliniano già nei decenni precedenti con la forza aveva imposto a località e persone il cambio del nome da slavo in italiano, e pure la lingua nelle scuole. Inoltre durante il conflitto mondiale troppe furono le angherie nazifasciste contro patrioti e popolazioni con torture, case incendiate, fucilazioni, deportazioni, impiccagioni. Per cui credo che quando si parla di "foibe" non si può non tenere in conto quel contesto storico con insano clima di odi, lutti, sofferenze, violenze e devastazioni, colpevolmente voluto creare dal regime fascista.

Sta di fatto che in quei mesi, svolgendo la mansione di medico, mi innamorai di una ragazza che in seguito divenne mia moglie che scoprii essere la figlia del capo del Cln di Muggia. La lotta armata di noi partigiani contro fascisti di Salò in camicia nera e truppe del Terzo Reich finì con la vittoria. Ciò permise il nostro ritorno a casa nel maggio 1945 indelebilmente segnati in corpo e anima, ma felici di essere vivi e di avere fatto il nostro dovere per il ripristino della democrazia.

Ha rimpianti per questi spaccati specifici del suo passato?

No. Ero e sono antifascista perché credo che battersi contro qualsiasi dittatura sia giusto. Per cui oggi lottare contro autoritarismi, revisionismi strumentali, ingiustizie sociali, razzismi, egoismi esasperati, inquinamenti distruttivi la natura, è fondamentale per non creare il substrato materiale e culturale che condiziona le coscienze e spiana la strada a una società di stampo fascista. Certo un impegno da portare avanti con la forza delle idee e del dialogo. Ad esempio per difendere la nostra attuale Costituzione fondata sul Lavoro e nata dalla Resistenza – ampliare i diritti singoli e collettivi civili e sindacali – garantire un reale pluralismo politico e religioso – aiutare i ceti popolari per una vita dignitosa alle persone di ambo i sessi, e così via. In questo senso i vecchi e giovani partigiani affiliati all'ANPI sono determinati a lottare democraticamente per questi fini. Ricercando unità e condivisione con altri soggetti ma nel rispetto delle reciproche autonomie e sempre rapportandosi ai valori universali che animarono la Resistenza: pace, giustizia, libertà.

Ha altri ricordi sparsi da accennare?

Tra gli innumerevoli ricordi lieti cito almeno l'amicizia e la collaborazione avuta con personaggi come Tavo Burat, Franco Ramella, Alfonso Sella, il pittore Guido Mosca, l'urologo Sandro Gibba. Sia in ambiti privati che pubblici, teatrali, letterari, sindacali, politici. E quando nel periodo estivo degli anni 1939 – 1940 – 1941 facevo apprendistato volontario all'ospedale di Biella dalle sette del mattino alle sette di sera nel reparto del professor Satta e del suo aiutante dottor Montagnini. E la grande gioia nel 1.942 quando mi laureai a Bologna in medicina e chirurgia. E lo stupore provato nel sentire per la prima volta parlare di antifascismo, nel 1941, quando di sera a volte andavo a trovare un vicino di casa nel quartiere popolare bolognese detto "Cirenaica", un abile operaio metalmeccanico con un fratello militare al fronte in Albania. E quando partivo da Valdengo con il treno per tornare all'università in cui i genitori mi riempivano la valigia di salami, burro fuso e decine di uova di gallina che dato i tempi di pelagra generale risultavano cibarie preziose per varie settimane. E la fine della guerra mondiale e della Lotta di Liberazione quando tutti esultammo, quasi increduli. E negli anni Cinquanta, quando a Vigliano ero medico di base di molte famiglie povere di immigrati meridionali e di operai ed ex combattenti con le quali instaurai proficui rapporti anche umani. E quando nel corso degli anni abbandonai la passione sportiva della caccia convinto della sua inutilità. Oggi a volte, senza rimpiangere nulla, sento una qual certa nostalgia della gioventù come stagione meravigliosa e irripetibile. Ma preciso che comunque la vita pur tra alti e bassi è sempre bella a ogni età.

Quali speranze nutre per la odierna umanità?

Vista con i miei occhi e alla mia età la situazione nel mondo e persino in Italia è grave e induce al pessimismo. Ma per gli uomini di buona volontà l'imperativo è resistere e continuare a impegnarsi. Spero che l'attuale sia un periodo di transizione che serva a tutti da dura lezione e insegnamento. Occorre che la maggioranza dei popoli attuino un cambiamento etico, morale, comportamentale, teso a salvaguardare il pianeta e i suoi figli. In cui ognuno responsabilmente deve fare la sua parte.

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