Attualità
Teo Sacco: “Mi sentivo perseguitato, oggi sono più leggero”
Squilla il telefono. “Pronto?”. “Ciao, non hai più conti in sospeso con la giustizia”. Una telefonata, quella del suo avvocato, che profuma di liberazione per Matteo Sacco, per tutti semplicemente Teo, 33enne biellese il cui nome ormai da otto anni circolava per le aule di procura e tribunale.
Squilla il telefono. “Pronto?”. “Ciao, non hai più conti in sospeso con la giustizia”. Una telefonata, quella del suo avvocato, che profuma di liberazione per Matteo Sacco, per tutti semplicemente Teo, 33enne biellese il cui nome ormai da otto anni circolava per le aule di procura e tribunale.
Non ha mai derubato, truffato o ucciso altri esseri umani, ma faceva politica. Evidentemente nel modo sbagliato per qualcuno, pur non essendo mai finito nei guai per risse, aggressioni o altri episodi di violenza che spesso hanno caratterizzato la contesa politica nel nostro Paese.
Quando gli chiediamo di provare a raccontare come tutto sia iniziato, è quasi titubante, come se anche il solo fatto di parlarne potesse creargli nuove ulteriori grane.
«Faccio fatica anch’io a ricordare tutto – spiega -. I primi guai sono iniziati con la Città di Sotto poi, nello stesso periodo, sono arrivate una denuncia per manifestazione non autorizzata e una querela per diffamazione a mezzo stampa per un’altra storia».
La Città di Sotto era un laboratorio sociale, un esperimento tentato dai Giovani Comunisti al Vernato. Correva l’anno 2008. Non chiamatelo centro sociale “ché altrimenti non ci fanno più vivere”, chiedevano gli organizzatori alla vigilia dell’apertura (nella simbolica data del 12 dicembre). E infatti formalmente era un circolo Arci, con regolare contratto di locazione – nessun locale occupato -, nonostante ciò finito più volte sotto la lente d’ingrandimento delle forze dell’ordine.
«Arrivavano controlli praticamente tutte le settimane – ricorda Sacco, che della Città di Sotto era il presidente -. Abbiamo ricevuto in totale una quindicina di visite in pochi mesi, spesso “in grande stile”. Una decina in meno di un mese». Nella maggior parte dei casi, non furono riscontrate grosse irregolarità, ma quanto bastava per far finire nei guai il responsabile, Teo Sacco: «Una volta sostenevano che fossimo una sala da ballo abusiva – continua a raccontare -, un’altra che le tessere non fossero state fatte a regola d’arte. Un’altra volta ancora ci hanno sanzionati per il volume della musica. Avevamo sforato di sei o sette decibel il limite, più basso del normale perché nella zona c’era una scuola materna. Questa non l’ho mai capita, onestamente penso che l’asilo alle 23 fosse chiuso… Oltre alla sanzione, per la legge avevo commesso un reato, ero un “inquinatore ambientale”…».
Queste erano solo alcune delle contestazioni. In quei mesi “caldi” per il laboratorio sociale, qualcuno ricordava controlli con tanto di regolamenti e codici alla mano (“sfogliavano pagina per pagina e cercavano tutto ciò che potenzialmente poteva non essere perfettamente in regola, sembravano un po’ accaniti”, aveva commentato all’epoca uno degli avventori dopo aver assistito a un episodio).
Nel frattempo, più o meno contemporaneamente, la giustizia presentò il conto per altri fatti precedenti: una denuncia per manifestazione non autorizzata davanti alla sede dell’Uib (dopo la morte sul lavoro di un operaio, ndr) e una querela di parte per “diffamazione a mezzo stampa”. Una serie di episodi che contribuì a far passare definitivamente a Teo Sacco la voglia di fare politica e forse spinse i Giovani Comunisti a chiudere anticipatamente l’esperienza della Città di Sotto, fatta di serate e di musica, ma anche di mostre, mensa a prezzi popolari, iniziative per gli studenti e d’integrazione per gli abitanti del Vernato.
«Da un lato non mi sentivo più rappresentato dai partiti in circolazione – conferma il diretto interessato -, dall’altro sicuramente questa situazione ha influito sul mio allontanamento dalla vita politica attiva. Avendo chiuso la Città di Sotto in malo modo, tra denunce, querele e sanzioni amministrative, il gruppo che si era creato attorno a questo progetto si è disperso. A un certo punto, giusta o sbagliata che fosse, avevo la sensazione di essere diventato una sorta di capro espiatorio. Mi sembrava di vivere una specie di persecuzione. Come mi muovevo, sbagliavo. Inevitabilmente qualche domanda inizi a fartela».
A distanza di anni, con la diaspora di quell’ultima “rossa gioventù” biellese che provava a fare politica attiva sul territorio, prima dell’avvento della “passività” da social network (gli studenti biellesi in piazza, a parte qualche rara eccezione, chi li ha mai più visti all’ombra del Mucrone?), ai protagonisti qualche rimpianto resta.
«Quel posto e quel progetto – afferma con un po’ di nostalgia Sacco – avevano un parecchie potenzialità, potevano dare tanto al territorio. A distanza di anni, c’è ancora gente che ci dice che con la fine della Città di Sotto non ha più avuto un “posto”. Forse avremmo potuto provare a resistere un po’ di più, ma era una guerra impari. Qualcuno forse pensava fossimo dei criminali o aveva un’idea sbagliata di cosa fosse uno spazio sociale. Magari ci ritenevano dei tossici, peccato che droga alla Città di Sotto non ne sia mai circolata. Era una cosa nuova a Biella e a qualcuno le novità non piacciono. Sapevo benissimo a cosa andavo incontro quando mi sono buttato in questa impresa, ma non pensavo di dare così tanto fastidio. Era proprio l’idea in sé che “disturbava”. In seguito ho anche gestito un locale per i fatti miei e non ho mai avuto problemi del genere».
Otto anni dopo, tra prescrizioni, assoluzioni e qualche multa, oggi Sacco può finalmente chiudere quella parentesi anche a livello giudiziario.
«Ringrazio tutti quelli che ci sono stati e l’avvocato Duso. È stato molto paziente. Oggi mi rimane un’esperienza che nel bene e nel male mi ha aiutato a crescere. Della Città di Sotto in realtà esiste ancora un blog on line che viene aggiornato regolarmente. In un certo senso è ancora viva, a distanza di tutti questi anni, nonostante tutto. “Non ci avrete mai come volete voi”, era uno dei nostri motti. E nonostante il tramonto graduale dei movimenti, iniziato con Genova e continuato con la successiva politica di repressione, ancora oggi non ci hanno come vogliono loro. Per noi nel 2009 è stato un arrivederci, le idee non sono cambiate e non sono morte. Chi lo sa, magari ci saranno altre occasioni”.
Matteo Floris
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