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“Squola” quasi sicura

Abbiamo drammatici problemi di grammatica sociale. Non è una grossa novità, da italiani. Solo che quando gli errori da matita rossa li vedi da vicino fanno molta più impressione. “Scuola sicura” è un piano sperimentale della Regione Piemonte che, tra i primi in Italia, ci vede investire sette milioni di euro per tentare di mettere in sicurezza il ritorno a scuola dei nostri studenti.
Non la faccio lunga, ma tra tutta la tiritera di monitoraggio del personale docente o meno ci stava pure l’idea di tenere d’occhio il possibile contagio tra gli studenti di seconda e terza media: fino al 31 marzo un test antigenico o molecolare al mese per i ragazzi, con un sano principio di alternanza all’interno delle stesse classi.
Sono circa 75mila gli studenti piemontesi coinvolti in quest’iniziativa, tra cui, va da sé, quelli biellesi.
Sulle onde dell’entusiasmo, l’assessore biellese titolare della delega all’istruzione in Regione vaticinava un’adesione attorno al 70%. Conti mal fatti come sempre, quando ci sono di mezzo gli italiani. Figuriamoci i biellesi. La sperimentazione è tarata sulle medie inferiori perché si presume che quella sia la fascia di studenti il cui rapporto tra rischio contagio e difficoltà nella didattica a distanza fosse maggiore (gli studenti più grandi sanno cavarsela presumibilmente meglio, nella Dad, mica nel contagio eh, e meglio di certi docenti di sicuro, per cui la didattica in presenza si rende meno necessaria). Bene, pare che, alla scadenza prevista e sempre che non sia cambiato qualcosa mentre scrivo, là dove è stato possibile accertarlo, l’adesione dei genitori biellesi sia stata minima. In un istituto cittadino solo tre classi sulle 12 coinvolte hanno potuto aderire, perché, per farlo, è necessario che la maggioranza dei genitori di una classe autorizzino formalmente il proprio figlio; in un altro sei classi su 16. Al netto delle complicanze burocratiche, relative alla modulistica e alla sua tempistica, la percentuale è francamente umiliante: il 25% nel primo il 35% nel secondo caso. Anche se gli improvvisati fenomeni a cui la politica troppo spesso si affida per la gestione delle emergenze, pianificano senza saperlo fare un approccio logistico buono solo a complicare la vita di chi poi si trova ad applicare i provvedimenti, vanificandoli. Asl e dirigenze scolastiche in difficoltà a fronte di roboanti dichiarazioni di politici e tecnici di fortuna.
Vero è che all’interno delle istituzioni scolastiche la gestione di qualsivoglia iniziativa risulta sempre maledettamente complicata, spesso a torto e a volte a ragione. Ma è anche vero che il dibattito su scuole aperte e chiuse, e su come aprirle in sicurezza, ha tenuto banco nei mesi scorsi. E il rumore di fondo prodotto pareva proprio essere a favore della necessità di riaprirle, nonostante i dati relativi al contagio scolastico non fossero poi così confortanti.
Tutto il bla bla che si è fatto per sostenere la tesi del rientro scolastico, sulle necessità didattiche sociali e familiari, si è infranto rapidamente contro il timore dell’eventuale quarantena. Come se questa fosse un’ingiustificata punizione nei confronti di chi venisse certificato positivo e dei suoi familiari. Come se andarsene in giro da positivi asintomatici a contagiare il mondo fosse un’alternativa plausibile. Come se mettere a rischio la propria salute, quella dei propri figli e della propria comunità fosse normale e accettabile.
Ma il vero disastro educativo è in prospettiva: che esempio ne potranno trarre quei figli a cui è stata negata questa sacrosanta autorizzazione? Che cittadini saranno, con tutte le implicazioni che ne conseguono, questi biellesi del futuro educati all’interesse particolare a detrimento di quello sociale? Sa di occasione formativa irrimediabilmente perduta. Purtroppo non è la prima, e purtroppo non sarà l’ultima. Sarà che a scuola di grammatica sociale ci dovremmo mandare i genitori, più che i figli. Sarà che un libretto delle giustificazioni per un’inazione del genere non può esistere. Sarà che ne abbiamo tutti le tasche piene di divieti a singhiozzo, e di buchi nella cinghia ce ne restano davvero pochi, ma abdicare così alle proprie responsabilità nei confronti di un tentativo di risolvere l’emergenza è da incoscienti. Mi sa che siamo i clienti del peggior bar sport possibile, quelli che aspettano che sia sempre qualcun altro a offrire l’ultimo giro e a pagare il conto.
Lele Ghisio
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