Attualità
“Solo l’innovazione potrà salvare Biella”
«Negli anni 60-70 noi biellesi eravamo abituati a gettare la lenza nel fiume con la certezza che i pesci sarebbero arrivati a frotte. Oggi non è più così. Se vuoi sopravvivere, come in tutti settori devi essere un cacciatore, di quelli bravi, devi individuare le prede e cacciarle con armi sofisticate e di alta tecnologia».
«Negli anni 60-70 noi biellesi eravamo abituati a gettare la lenza nel fiume con la certezza che i pesci sarebbero arrivati a frotte. Oggi non è più così. Se vuoi sopravvivere, come in tutti settori devi essere un cacciatore, di quelli bravi, devi individuare le prede e cacciarle con armi sofisticate e di alta tecnologia».
La metafora è utilizzata da Luciano Donatelli per descrivere due mondi ormai distanti anni luce, il Biellese ricco e opulento di una volta e la rassegnata condizione odierna. Il tutto parte da quella graduatoria nazionale pubblicata nei giorni scorsi che indica il territorio in cui viviamo come il meno “attraente” di tutta Italia, superato solamente da una piccola porzione di territorio sardo.
Ricordiamo che Donatelli è stato presidente Uib Biella, vicepresidente Confindustria Piemonte per l’internalizzazione e tuttora advisor M&A Fondi investimento internazionali.
Una volta ci chiamavano la “Manchester d’Italia”… Com’era all’epoca il Biellese?
«Certamente un altro mondo, un tessuto industriale caratterizzato dalla presenza di quelle grandi famiglie che hanno segnato positivamente la storia del territorio, non solo economica. Oggi si parla spesso di “capitani coraggiosi”, io preferisco la dizione “capitani generosi” perché oltre ai propri interessi economici questi gradi personaggi innovatori (Zegna, Cerruti, Botto, Reda, Barberis, Rivetti. Piacenza, e altri) contribuirono allo sviluppo del territorio attraverso importanti atti di generosità come la realizzazione di reparti ospedalieri, scuole, la piscina comunale ad esempio. Grandi personaggi che sapevano sul modello americano creare un ambiente molto dignitoso per la propria manodopera che si poteva arroccare in località sperse delle vallate, tipo Trivero, Portula ecc. Esempi che oggi possono essere paragonati alle Apple, nata in una città sperduta come Copertino».
Poi è arrivata la nuova generazione…
«Con la nuova generazione industriale biellese una minoranza ha continuato la “missione” di famiglia, mentre molti, evidentemente saziati dai capitali tessili ereditati hanno preferito la finanza che consente ritorni molto più facili e non intrisi di “lanolina”. C’è poi chi si è ritirato a vita privata godendosi il patrimonio accumulato dagli avi nella speranza magari di poterselo portare anche nell’aldilà. Ma come dice Papa Francesco: “Non ho mai visto un camion Gondrand al seguito di un funerale», Ciò detto, di capitani generosi non ne sono più apparsi negli ultimi trent’anni».
Cosa intente lei per generosità?
«Non intendo solo i mecenati sociali ma “capitani generosi” che rimettano nel territorio almeno una parte di quanto il territorio ha loro dato creando opportunità di sviluppo per le nuove generazioni, e quindi per il territorio stesso».
Parliamo delle ragioni che hanno portato la grave crisi del tessile . In natura i terremoti sono imprevedibili ma non si può dire altrettanto per la globalizzazione dell’economia, un fenomeno che non si è certamente materializzato dalla sera alla mattina.
“Certamente, c’è stata una sottovalutazione, non si aveva ben chiaro quali sarebbero stati gli effetti di questo fenomeno nel 2000 quando fu siglato l’accordo Wto. Probabilmente si è rimasti nella convinzione di essere comunque in una valle felice dove tali eventi non avrebbero avuto effetti. Un errore che, comunque, non è stato solo nostro ma dell’intero sistema economico nazionale che ha reagito in ritardo. Anni fa pubblicammo a nostre spese sui giornali nazionali più importanti una pubblicità con al centro i cavalli di Guernica preconizzando, con una metafora che i 20mila cavalli biellesi – ovvero gli addetti tessili di dieci anni fa – (erano addirittura 40mila negli anni Sessanta) si sarebbero più che dimezzati come in effetti è poi avvenuto. Ricevemmo ringraziamenti dalle piccole e medie imprese, dalle istituzioni solo pacche sulle spalle».
E’ vero che la crisi ha colpito dappertutto e non solo il tessile ma nel Biellese è stata pesante, come indicano i dati economici del distretto.
«Ci sono stati alcuni fattori, tipicamente locali, che hanno fatto sì che la crisi assumesse aspetti più devastanti».
Magari, tra questi, una mentalità un po’ conservatrice, diciamo così.
«Anche questo ha avuto la sua parte. Ricordiamo il tempo in cui le case automobilistiche non erano le multinazionali odierne ma “rappresentavano” quasi lo Stato. L’annuncio della FIAT, allora il simbolo italiano per eccellenza, relativo alla realizzazione dello stabilimento di Verrone fu accolto da polemiche infinite, soprattutto dagli imprenditori tessili biellesi che temevano di perdere parte della loro manodopera. In altri distretti avrebbero festeggiato con i fuochi di artificio, da noi non fu così. Se non ci fossero stati Frignani presidente di Confindustria regionale e Petrini sindaco di Biella l’insediamento non sarebbe stato realizzato. Ovviamente l’handicap riguarda non solo il settore industriale ma tutte le altre attività».
Era il periodo del mitico concetto dello “splendido isolamento”.
«Il sistema sembrava funzionare a meraviglia. Perchè cambiare? Perchè il cambiamento fa sempre paura e tarpa i processi di innovazione a 360° gradi. E la stessa cosa è accaduta quando è arrivata la globalizzazione. Ovviamente c’è stato anche chi ha accettato la sfida, ha innovato e vinto. Innovare a mio parere è prima di tutto un approccio mentale che si sintetizza con il motto “Cambiare l’ordine delle cose”. E non parlo solo dei grandi gruppi industriali che tutti conoscono ma soprattutto di tante piccole imprese, sconosciute al grande pubblico, al cui timone dell’innovazione è lo stesso titolare».
In questi giorni la trasmissione televisiva di Jacona ha portato ad esempio il caso tessile della Svezia, che ha avuto un problema molto simile al nostro.
«Anche la Svezia ha inizialmente subito il fenomeno tanto che in pochi anni il numero degli addetti nel distretto tessile si era praticamente dimezzato (da 46mila a 20mila) . Quando è diventato chiaro a tutti che la concorrenza con i cinesi poteva essere vinta solamente innalzando notevolmente la qualità dei propri prodotti, hanno investito in ricerca e sviluppo rivoluzionando l’intero sistema produttivo, investendo a piene mani, Stato e privati, su un’università del tessile. E alla fine la scelta è risultava vincente. Infatti la Svezia è campione nelle confezioni e ha riportato in patria – forte del “made in” – addirittura produzioni d’elite che erano fatte a mano in Italia (camiceria Eton, ecc) . La Cina, dove il costo del lavoro è notevolmente inferiore agli standard occidentali, è imbattibile sulle produzioni di bassa qualità, ma non sul resto. Questo ovviamente non riguarda solo il tessile e la Svezia. In Europa ci sono esempi virtuosi anche in altri settori».
Ritornando al nostro caro Biellese la situazione è senza speranze?
«Assolutamente no. Facendo le debite proporzioni con il modello svedese che è certamente più avanti, anche noi possiamo contare su un centro di formazione di eccellenza qual è Città studi. Un esempio può essere il Master Fibre Nobili, declinato in più larga scala con l’ausilio della formazione virtuale e stimolati magari dai nuovi capitani generosi, da dove escono giovani molto preparati, all’altezza della sfida che il mercato tessile mondiale. Professionisti che non stanno certo seduti lungo il fiume con la lenza in mano in attesa che abbocchi il pesce. Ovviamente sono necessari intelligenti investimenti, non solo privati ma anche pubblici perché se il territorio vuole essere attrattivo ha bisogno di collegamenti degni di questo nome. In quest’ambito la sinergia tra istituzioni e il mondo economico per il potenziamento delle linee ferroviarie è il primo passo fondamentale… Non sarà facile ma sono tra quelli che ritengono che il Biellese riscoperto anche dai biellesi stessi, con occhi nuovi e non alla ricerca di nuovi territori, parafrasando Proust, abbia un futuro e tornerà a ripopolarsi con giovani che ripensano la tradizione con l’approccio del terzo millennio».
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