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Mi manca l’aria e l’allegria

BIELLA – Era costume, prima dell’era digitale e una volta superata una soglia di età plausibile, sfogliare le pagine del giornale locale fino a quella dei necrologi. Per vedere chi se n’era andato e avere conferma d’essere rimasto, non leggendo il proprio nome in elenco. Per chi nell’era digitale non c’è mai entrato è ancora un’abitudine, per chi invece c’è entrato si è aperta una nuova frontiera del caro estinto. In quel luogo più o meno virtuale, e assai poco virtuoso, che sono i social, si sono ampliati pubblico e scenario. In tempo reale, a corpo ancora caldo, si possono trovare annunci funebri di famiglia, di comunità e anche una sempre aggiornata sezione vip.
Quello dei social è un luogo dove scatta il Rip (Riposa In Pace) automatico e la condoglianza compulsiva assume faccia da emoticon triste.
Segno dei tempi, e non c’è nulla di male, se appena si solleva il sottile velo dell’ipocrisia di gruppo che sposa l’autoreferenzialità solo per dire di sé in rapporto al dipartito. In ogni caso, se a morire è qualcuno noto per qualche motivo, è impossibile non rendersene conto e, sempre più spesso, ci tocca fare i conti con la memoria che quell’annunciazione al contrario mette rapidamente in moto. Succede anche a me. È già successo, succederà ancora.
Questa settimana la mia bacheca virtuale si è listata a lutto per Erriquez. Un nome che a molti non dirà nulla, ma per altrettanti ha significato molto e lo hanno dichiarato nelle parole improvvise di un post a lui dedicato. Erriquez era il leader della Bandabardò, una band fiorentina di folk italiano attiva da oltre 25 anni, nata nel periodo in cui quel genere godeva di ottima salute. Centinaia di concerti e migliaia di affezionati spettatori ne hanno sempre confermato la credibilità e il successo.
Leggendo la notizia mi è passata dinanzi agli occhi, in un istante, tutta un’altra vita. Che non era certo dimenticata, ma se ne stava buona lì a custodire i ricordi. La memoria mi ha restituito la faccia di Erriquez, un giorno di 24 anni fa. Sul volto un’espressione contrariata, da pessimismo e fastidio, dopo essersi accorto che nella locandina che annunciava il loro concerto al Funclub di Mottalciata, all’epoca piccolo live club di cui curavo la direzione artistica, era stata indicata Roma invece di Firenze come loro città di provenienza. L’imbarazzo lo dovetti risolvere stappando una bottiglia di vino, per tenerci compagnia durante il soundcheck. Era un equivoco nato dalla confusione che mi ero creato allora frequentando spesso gli uffici romani del loro management.
Era il 1996 e la Banda cominciava la sua avventura presentando “Il Circo Mangione”, il primo disco. E quella era solo la prima delle numerose volte in cui si esibirono poi, nell’arco degli anni, nel Biellese. Da allora le nostre strade s’incrociarono spesso, in altre città e in altri festival. Fino a quella sera a Sordevolo, dove tornai a ospitarli per Libra Festival e ci salutammo un’ultima volta. Perché la musica suonata è questa cosa qui: chilometri e incontri, vicende umane che si sfiorano per dirsi semplicemente “alla prossima”, anche quando la prossima non ci sarà più.
Raccontare questa storia mi è solo servito per dirvi che è stata questa, la molla della memoria che mi ha fatto pensare ad altri che hanno lasciato qualche traccia in città e ora non ci sono più. Ho pensato a Gianmaria Testa, passato di qua una sera d’aprile di una ventina d’anni fa, per una serata intima e di rara intensità al Teatro Sociale. Ho pensato a Stefano D’Orazio dei Pooh, passato spesso in città e con il quale ho condiviso, a Libra Festival, la lunga preparazione al loro tour estivo del 2006.
Ma più che all’aspetto nostalgico e del tutto personale, nel parlare di artisti coi quali mi è capitato di lavorare, mi è venuto da pensare a quante occasioni si è persa questa nostra provincia. Mi è venuto da pensare alle difficoltà, di sempre e da sempre, di mettere insieme un pubblico soddisfacente che le rendesse sostenibili. Noi, città di mezzo tra Milano e Torino, così presi a lamentarci del nulla per accorgerci di qualcosa.
Mi è venuto da pensare a questo momento assurdo, in cui la musica sta ferma e chiusa in casa. Tutta quella musica che mentre l’ascolti a un concerto ancora non sai quanto renderà caro un ricordo, e necessaria la nostalgia di tutto l’amore versato in quelle notti col vento in faccia. “Mi manca l’aria, e l’allegria”, direbbe Erriquez.
Lele Ghisio
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