Attualità
Giovedì si celebra la Festa del Maj
Si tartta di una festa della tradizione piemontese durante la quale verrà innalzaro l’Albero della Libertà ed il tricolore giacobino piemontese. Nell’occasione Beppe Pellitteri terrà un ricordo di Tavo Burat, difensore di eretici, culture e babi…
Su iniziativa di Legambiente, giovedì prossimo, 1° maggio, al ponte della Maddalena a Biella, a partire dalle ore 12,30, si terrà la ormai tradizionale Festa del Maj (l’Albero di Maggio). La festa proseguirà con un pranzo al sacco e canti e balli popolari sul ponte, in collaborazione con ALP e il Fisarmonicista Claudio Ballario. In caso di cattivo tempo maltempo i balli pomeridiani si svolgeranno presso il circolo Oremo ( via per Pollone).
A corredo della notizia pubblichiamo un intervento di Tavo Burat, tratto da “Biellesario”, rubrica “Parlè an salita” anno 5°, n. 6, luglio 1992.
L’ALBERO DELLA LIBERTÀ
La civiltà contadina aveva custodito antiche cerimonie religiose pagane, centrate sul ritmo delle stagioni, parallelo a quello della vita; così, le più grandi feste erano coincidenti con i solstizi, quello d’inverno (la nascita del sole, cristianizzata poi nel Natale, mentre è ignoto il vero giorno della nascita del Cristo) e quello d’estate (cristianizzato in San Giovanni); in un caso e nell’altro, si accendevano – e si accendono tuttora – i fuochi di gioia, i falò.
Vi erano anche feste intermedie, soprattutto dedicate alla primavera, quando la terra si risveglia, la natura risorge ed è, anche per donne e uomini, il trionfo dell’amore, e quindi della gioventù: carnevale era la più grande festa giovanile in onore della primavera incipiente. Anche il primo maggio, da tempo immemorabile, era un giorno di festa tanto che, quando scoppiarono i moti tra gli operai emigrati in USA e vi furono vittime per la repressione (perciò poi quel giorno fu dedicato per la festa internazionale del lavoro), quei lavoratori si erano riuniti anche perché mossi dal ricordo della festa contadina nei loro paesi europei. Del resto, pure la rivolta di Sala Biellese, del 1898, prese le mosse proprio nei giorni di carnevale, quando la comunità unita festeggiava, contemporaneamente, diverse coppie di sposi.
In quel primo giorno di maggio, infatti era uso in tutta Europa innalzare sulla piazza del villaggio un simbolo fallico, il fusto di un albero, chiamato appunto il “maggio” e in piemontese, con un antico termine riservato soltanto a quell’occasione, il “maj”. Intorno si cantava, si ballava, si eleggeva la “regina di maggio” scegliendo la più bella ragazza la quale, per tutto il mese, avrebbe comandato le feste e le danze; anche questa tradizione fu cattolicizzata, facendo diventare la Madonna “regina di maggio” ma, poiché ciò non era bastato a trasformare l’antica festa pagana in una celebrazione devota, i vescovi finirono col condannare come indecenti gli “albera majunca” disponendo che a loro posto si piantassero delle grandi croci.
Ciò avvenne anche nel Biellese dove tuttavia in certi paesi, come a Galfione (Occhieppo Superiore), l’usanza continuò sino agli ultimi anni precedenti la prima guerra mondiale; a Scalenghe, nel Pinerolese, la tradizione si è mantenuta sino ad oggi: i coscritti – eredi della “badìa” cui era anche affidata la difesa del paese contro i predoni e le pretese dei feudatari (fra Dolcino ed i suoi furono sostenuti dalle “badie” dell’alta Valle Sesia; Milano Sola di Campertogno era una “abà”, capo dei giovani) – nella notte tra il 30 aprile ed il 1° maggio vanno a rubare un altissimo pioppo e lo issano adorno di nastri colorati, nella piazza dove rimane durante tutto il mese.
Quando scoppiò la grande rivoluzione del 1789 in Francia, il “maj” proibito e fissato nella memoria di classe come simbolo trasgressivo, tornò a svettare in piazza e divenne “l’albero della libertà”, intorno al quale i “sanculotti” cantavano il “gaira” e ballavano la carmagnola. A Biella, come in tutto il Piemonte, l’albero fu piantato dopo che l’armata
francese aveva travolto l’antico Regno di Sardegna, quando si proclamò la “Nazione Piemontese”, nel dicembre 1798.
Gli austro-russi l’anno seguente lo spazzarono via e, quando i francesi tornarono con Napoleone trionfante, gli ideali di “liberté-égalité-fraternité” (ij fransèis an caròssa e noi a pé, aggiungevano i poveri contadini piemontesi costretti a
mantenere l’esercito di occupazione; e così pure traducevano il motto latino “Matri magnae filia grata” – che significava: “alla grande Madre francese la Figlia piemontese riconoscente” – “la madre mangia e la figlia si gratta!”), quegli
ideali, dicevo, furono messi in soffitta, divennero anzi sovversivi . Poi venne la restaurazione, lo stato borghese, il fascismo, il regime democristiano & C. e dell’albero della libertà si perse sinanco la memoria.
Tre anni or sono, nel bicentenario del 1789, unitamente all’Alliance francese, l’Amministrazione comunale di Biella volle rendere omaggio ai famosi principi di libertà e così, nei giardini pubblici, fu messa a dimora una pianticella dagli scolari con grande solennità. Ma fu una finzione perché, ahimè, quell’albero che piantammo – c’ero anch’io, paludato con l’antico costume di mezzalana della Biirsch, l’alta valle Cervo, e con la bandiera giacobina piemontese rosso-azzurra-arancio – non c’è più. L’anno dopo, lo piantammo noi, zingari della politica (Verdi, DP, anarchici, radicali…) nell’area destinata al perverso CDA, proprio davanti alla Camera del Lavoro, alla vigilia del 1° maggio: era una “controdimostrazione”; offrimmo persino spumante, paste e torte ai cittadini occasionalmente di passaggio per via La mormora.
Era una giovanissima betulla, portata da Claudio Oddone che, per la verità, era stato incaricato di procurare un castagno, l’albero-totem delle valli Biellesi. A zappare, lavorammo duro, perché quell’ex-terreno ferroviario è quasi un selciato. Ma ci riuscimmo, e la betulla bambina sopravvisse all’inverno, ed anche a quello successivo: purtroppo con l’inizio dell’immonda fossa del 1° lotto del CDA (Comitato Degli Affaristi), il grande parcheggio si spostò e finì sulla nostra
betullina. Sparita.
Non v’è chi non comprenda il significato emblematico di quell’alberello che davanti alla CGIL sfidava gli imminenti 300 mila metri cubi di cemento (6 ospedali di Biella: non ci stanchiamo di ripeterlo) che hanno moltiplicato il
valore dei terreni a prato; valore decollato anche grazie alla “cointeressenza” pubblica che, essendosi coinvolta per un lotto, favorisce i progetti ed allevia gli oneri degli altri tre, dove i privati sono determinati ad innalzare un’assurda muraglia cinese tra la vecchia e la nuova Biella, a congestionare il traffico già impossibile oggi, con un nuovo centro commerciale; ed a sacrificare totalmente l’unica grande area libera esistente nel centro di Biella, là dove sarebbe stata
quanto mai indicata un’oasi di verde attrezzato. La nostra piantina è sparita, ma il suo compito di sfida è stato ora raccolto da un pioppo, proprio dall’essenza prescelta per innalzare gli alberi di maggio e quelli della libertà! E situato all’angolo di via Pozzo (che è il lato sinistro di via Lamarmora, venendo dai giardini pubblici Zumaglini), all’angolo con via Risorgimento, praticamente opposto agli ultimi portici di via Lamarmora. Merita di essere visto: per abbracciare il tronco, alla base, bisogna essere in quattro o cinque; è più alto dei palazzi; la chioma è possente, fantastica nella sua
pienezza incontaminata.
Il 1° lotto del CDA è quello con l’enorme buco, dove la concessione edilizia è già stata rilasciata; ora sembra che debba partire il 4°, l’ultimo. Se il Sindaco darà la concessione, si scaverà un’altra fossa, e sarà la condanna a morte del pioppo le cui radici si diramano per decine di metri, e la cui parte aerea non potrà sopravvivere, incarcerata nel cemento che gli ruberà lo spazio per le fronde, e il sole. Quel pioppo è una sfida: proprio come l’albero di maggio proibito dalla bigotteria imperante; proprio come l’albero della libertà, abbattuto dai reazionari. L’ultima memoria di quando, a sud di via Lamarmora, era tutta campagna; l’ultima Resistenza (sì, con la R grande) di una città a misura d’uomo contro gli
interessi speculativi coalizzati e i decisionismi podestarili. Per questo, sabato 4 luglio il secolare pioppo è apparso fasciato da una grande scritta: ALBERO DELLA LIBERTÀ. Pioveva, ma c’era “il sole che ride” e, accanto, il tricolore giacobino irridente.
Gustavo Buratti
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