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La Resistenza è patrimonio della comunità

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Vorrei ricordare le parole di Arrigo Bordini, il comandante partigiano “Bulow”, per tanti anni presidente nazionale dell’Anpi, che affermava: «Abbiamo combattuto per chi c’era, per chi non c’era e anche per chi era contro».

Sono passati settant’anni da quando i partigiani scendendo dalle nostre montagne, la sera del 24 aprile 1945, liberavano la città e con essa tutto il Biellese. Alle prime luci di quel mattino i reparti tedeschi partivano, poche ore dopo e in modo più disordinato, anche i fascisti abbandonavano Biella.

Quello che entrava vittorioso non era un esercito conquistatore che imponeva con le armi un ordine nuovo, ma era composto da quei soldati e quei giovani biellesi che venti mesi prima erano saliti in montagna per sfuggire ai bandi di coscrizione obbligatoria voluti per combattere una guerra disperata e crudele a fianco dei nazisti che occupavano l’Italia del centro-nord. Mal vestiti, poco armati e peggio equipaggiati per affrontare i rigori dell’inverno, quei giovani avevano resistito, combattuto, avevano sofferto e molti erano caduti o erano stati fucilati, per ristabilire la democrazia e la libertà.

Per venti mesi sono stati braccati e venivano chiamati “banditi”. Ma con essi c’era la gran parte della gente: molte le famiglie che ospitarono i partigiani ricercati o feriti, molte le famiglie biellesi che si privarono di quel poco che avevano per farlo giungere ai partigiani in montagna; molte le donne e le ragazze che confezionarono di nascosto le loro divise, che portavano notizie e informazioni. Molte di loro divennero le coraggiose “staffette” che portavano ordini e messaggi tra una formazione e l’altra. Senza di loro, senza quel consenso e quegli aiuti, la Resistenza sarebbe durata solo poche settimane.

In questo settantesimo anniversario della Liberazione il pensiero e la riconoscenza deve andare a tutti loro. Le libertà ottenute le si devono a tutti loro: partigiani, persone comuni, donne, soldati e sacerdoti che, correndo gravissimi rischi, non si sono sottratti a ciò che la loro coscienza imponeva.

Ma dopo settanta anni, quando la gran parte di quei protagonisti di allora non c’è più e una nuova generazione di ragazze e ragazzi giovani si affaccia alla vita attiva, è tempo di ulteriori riflessioni.

La prima considerazione è che quei partigiani che hanno combattuto duramente nell’Italia occupata erano parte di un “nuovo esercito” che, a fianco degli alleati anglo-americani, in tutta Europa si è idealmente unito per battere il nazi-fascismo e porre termine alla più sanguinosa guerra della storia. Prima c’erano le nazioni europee da sempre impegnate in conflitti per la conquista di territorio di altri. Con la guerra di Liberazione partigiani italiani, francesi, greci, belgi, olandesi, russi ed altri si sono ritrovati a combattere su un unico fronte, non per conquistare altri Stati, ma per la libertà di tutti.

Se consideriamo attentamente, quello era il primo esercito europeo; è stato il primo vero solco tracciato verso la strada della costruzione dell’Europa unita.

La seconda considerazione è che dobbiamo chiederci se settant’anni sono sufficienti per collocare definitivamente la guerra partigiana nella storia della nazione. Troppe volte abbiamo sentito che intorno al significato dato alla Resistenza c’erano percezioni diverse, distinguo e sfumature anche nell’ambito dell’antifascismo. Penso che sia venuto il tempo di superare tali divisioni e considerare quella lotta liberatoria come patrimonio di tutto il Paese.

Vorrei ricordare le parole di Arrigo Bordini, il comandante partigiano “Bulow”, per tanti anni presidente nazionale dell’Anpi, che affermava: «Abbiamo combattuto per chi c’era, per chi non c’era e anche per chi era contro». La libertà e un bene prezioso, ma è per tutti e anche la Resistenza è, e deve essere, sempre più patrimonio di tutta la nostra comunità. Nessuno ha il diritto di vantare particolari diritti su quelle pagine di storia, come nessuno può e deve diminuirne il significato e il valore.

Adriano Leone

Nella foto: gruppo di partigiani della 2ª brigata “Pensiero” [Archivio fotografico Istituto per la Storia della Resistenza e della società contemporanea nel Biellese, nel Vercellese e nella Valsesia – Fondo Tempia]

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