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Gli Sbiellati

L’imbarazzo che segue all’entusiasmo

Gli Sbiellati: una rubrica per tentare di guardarci allo specchio e non piacerci

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Fonzarelli di provincia

BIELLA – La vita di provincia non è cosa facile. Almeno fino a quando non si ha la consapevolezza dell’esistenza di un contesto che la contiene e che, per forza di cose, la significa. La provincia senza il contesto non esisterebbe, il contesto senza la provincia invece sì, e difatti fa come se questa non esistesse molto.

Come fosse qualcosa di sfumato all’orizzonte del fuori città, una leggenda narrata e testimoniata anche dalle estati di noia a cui le famiglie urbane, affaticate dal cemento e dal traffico com’erano e come sono, costringono le figliolanze, per respirare l’aria buona e leggersi il romanzo di Wilbur Smith che troveremo un giorno tra i libri usati delle bancarelle di città.

Non è cosa facile la vita di provincia, che costringe alla costruzione di miti fondanti fondati spesso sul nulla o, se va bene, sul poco che si è e che si ha. Una mitopoiesi che si consolida con il tempo, plasmando insieme fantasia e realtà in un’epica fuori luogo che confonde orgoglio e dignità come fossero il refrain di una canzone da giorni di pioggia. No, non è facile.

Serve quindi l’avvento, per scuotere l’aria. A far notizia necessita la venuta dal contesto di un salvatore foresto e famigerato, che ci salvi dall’inedia, o l’ascesa a un qualche trono pubblico del contesto di un qualche cittadino che così diventa illustre, definirlo. Perché in fondo da soli non sappiamo fare, né sappiamo dire. Perché solo così si spiega lo stallo del presente rispetto alla retorica del saper fare che così tanto ancora ci compiace di quel che, in qualche modo, siamo pur stati.

Allora ci aggrappiamo al famoso di passaggio in città, e poco c’importa perché lo sia, se a torto o a ragione, per scuotere d’entusiasmo l’apatia dell’aria ferma, quella che di solito stagna in città di provincia come la nostra. Ci prostriamo ai suoi piedi e sorridiamo ebeti e felici di chissà cosa in quel selfie che ci dedichiamo con premura, e i giornali a titolare. O in cambio ci inorgogliamo immotivati se qualche nostro conterraneo passa improvviso dall’anonimato alla notorietà nazionale. Come se questo aggiungesse qualcosa a noi e pure a lui: l’orgoglio conto terzi.

Succede, è successo, sta succedendo. In questo caso è la politica a darcene la ragione e il pretesto di parlarne. Ora che, al governo, abbiamo un biellese doc e uno d’adozione, e che per loro abbiamo sventolato bandiere di facile entusiasmo. Strambo questo firmare cambiali in bianco, per un territorio più aduso alla diffidenza che alla fiducia. E con l’esperienza di aspettative frustrate che ci portiamo a spalla ogni volta che ingenuamente confidiamo in un politico locale per risolvere le nostre questioni.

A dir la verità, il ministro d’adozione s’era già premurato anni fa, in qualità allora di senatore, di dirottare una sessantina di migliaia di euro al biellesissimo paese di collina in cui tiene casa. Una targa all’area verde realizzata con quel contributo testimonia la nostra genuflessione alla concessione, memori e per sempre grati di una più o meno giustificata regalia a seconda di come la si veda. Alla sua designazione a ministro ci siamo quindi subito premurati a descriverne la vicinanza, narrando di suoi avvistamenti in zona e altre amenità.

Ora che, a un mese dal suo insediamento, ha già infilato una serie imbarazzante di dichiarazioni diventa difficile dissociarci da quell’ingenuo entusiasmo. Da Ministro dell’Istruzione sente l’impellente e costante necessità di dispensare pillole di dubbia saggezza a tutta la popolazione studentile: nella giornata mondiale contro il fascismo lui ritiene utile tacerne per elencare ogni distorsione del comunismo, dimostrando come certi muri non cadano proprio; lui, Ministro del Merito, ritiene formativa e didattica l’umiliazione degli studenti cattivi, e per le bacchettate sulle dita si vedrà.

Il suo collega di governo, il biellesissimo Ministro dell’Ambiente, in un mese di Governo ha già infilato invece una notevole serie di gaffe mica male: dai ringraziamenti per l’assunzione a un altro ministero all’ignoranza di acronimi fondamentali, dallo spaesamento di fronte a una domanda in inglese alla galera per sindaci, colpevoli d’ufficio di abuso edilizio. Lo stupidario di qualche settimanale (d’opposizione, va detto) li ha visti spesso protagonisti insieme.

Peccati veniali, si dirà. In ogni caso già campioni di fraintenditudine e della rettificazio a cui sono costantemente votati i loro uffici stampa. Forse forse era meglio “provare per credere”, in quanto a rivendicazione di biellesità. È il momento di ribiellesizzarci, di abbandonare certa retorica trionfalistica e passatista per affrontare il futuro misurandoci sì col mondo, ma anche con la consapevolezza dei nostri limiti. Con le nostre forze, senza ricorrere a falsi miti.

 

Lele Ghisio

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