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Turismo, una strategia semplice

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Si fa presto a dire Turismo. E difatti tutti lo dicono. Magari con evidenti difetti di pronuncia, ma lo dicono. Che di qualcosa si deve pur parlare con ostentata sicumera da millantatori della competenza, degna del solito bar sport. Insomma: se ne sente parlare parecchio, e non sempre a proposito, da anni.

Il Turismo è la più grande industria del Paese, e di questo dovremmo pur prendere atto, anche se non siamo né Rimini né Firenze. Certo che è difficile pensare di sopperire all’evidente crisi locale del manifatturiero con lo sviluppo turistico. Ma è difficile pure pensare di poterne fare a meno.

Una certa schizofrenia politica e amministrativa, ora più che mai accentuata, ha creato malintesi e difficoltà al settore: con la riforma del Titolo V della Costituzione, nel 2001, lo si era lasciato in competenza alle regioni generando inopportuna concorrenza e disomogeneità nella gestione. Poi, la revisione dello stesso Titolo V contenuta nella riforma costituzionale votata al famigerato referendum del 4 dicembre 2016 è stata vanificata dalla vittoria del “No”.

Si è buttato il bambino con l’acqua sporca della personalizzazione della consultazione popolare. All’italiana, vien da dire. E la competenza è rimasta regionale, mentre la legge Madìa costringeva all’accorpamento degli enti locali dedicati.

Tutto questo per spiegare il perché della fusione della nostra Atl (Azienda turistica locale) con quella di Vercelli e Valsesia, condotta, e imposta, da Regione Piemonte nell’ottica dell’ottimizzazione delle risorse e dei servizi, che i tempi del “piccolo è bello” sono passati da un pezzo. E ora diventa persin comprensibile la polemica del Presidente della Provincia nei confronti dell’amministrazione cittadina, che nel nuovo organismo detiene addirittura – tenetevi forte – lo 0,81% delle quote societarie. Non che prima si brillasse per entusiasmo nell’investire nella promozione turistica locale: nell’Atl biellese, la Città di Biella deteneva addirittura – tenetevi forte – l’1,22%.

Insomma, le amministrazioni del capoluogo se ne sono sempre tirate fuori, come se la responsabilità dell’area vasta non le riguardasse e continui a non riguardarle. Sbiellati quanto basta. Eppure, già nel rapporto 2017 (l’ultimo disponibile) dell’Osservatorio sul turismo biellese e vercellese, l’introduzione di un manager che ne capiva qualcosa, tanto che s’è involato verso territori più sensibili all’investimento turistico, citava come approccio l’adozione di una “strategia semplice”: dare al settore la dignità che merita. Un compito che il pubblico e il privato devono svolgere insieme, sviluppando una strategia basata sul prodotto territorio e sulla professionalità dei suoi operatori. Che è cosa ben diversa dall’inseguire la chimera dei grandi eventi, che producono sterili rimbalzi nella presenza turistica ma non la necessaria continuità, e affidandosi troppo spesso a dilettanti e proloco, pur riconoscendo i loro meriti.

Di polemica in polemica, anche le reazioni sull’intenzione di quest’amministrazione di ripristinare l’imposta di soggiorno sono state piuttosto scomposte. A volte ingenue. A chi ritiene assurdo finanziare il turismo con un’imposta sul turismo, c’è da rispondere che non è poi così assurdo: sono poco meno di un migliaio i comuni che in Italia la applicano. La differenza la fa l’utilizzo, che si auspica il più possibile condiviso con gli operatori ed esclusivamente dedicato allo sviluppo della promozione turistica. A chi invece ritiene che sia un disincentivo alle presenze c’è da rispondere che non è statisticamente così: quando alla fine degli anni ’80 (la sua nascita risaliva al 1910) l’imposta fu abolita proprio pensando di favorire i flussi turistici, ci si accorse poi, analizzando i dati, che la sua introduzione o abolizione non andavano a intaccare in nessun modo diretto i flussi delle presenze turistiche all’interno del territorio italiano. Da qui la sua reintroduzione nel 2011 a seguito del federalismo fiscale comunale. Detto questo, adesso non ci resta che uscire dal bar sport e provare a ragionarci sul serio.

Lele Ghisio

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