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Vecchi e bambini appassionatamente

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[…]  “Sceso dalla macchina il Duce si sofferma ad ammirare la grandiosa mole del nuovo Ospedale, entra quindi tra un plotone di Giovani Fascisti e un plotone di Balilla Moschettieri che gli presentano le armi […] Sotto la pensilina d’ingresso è tutta una fioritura di rododendri […]

[…]  “Sceso dalla macchina il Duce si sofferma ad ammirare la grandiosa mole del nuovo Ospedale, entra quindi tra un plotone di Giovani Fascisti e un plotone di Balilla Moschettieri che gli presentano le armi […] Sotto la pensilina d’ingresso è tutta una fioritura di rododendri […]

1939: i giornali, con enfasi (per i tempi) misurata, raccontano l’inizio di una storia che durerà 75 anni.  2014: i giornali, e soprattutto la rete, raccontano la fine di una storia durata 75 anni, e lo fanno con un profluvio di amarcord, con qualche brillante esercizio calligrafico che veste una nostalgia ruffiana e talvolta canaglia in una gara di struggimento (linguaggio ruvido comme il faut per essere contemporanei) che punta al magone del lettore; siamo alla mozione degli affetti, alla maieutica del ricordo.  E questo oggetto enorme, ingombrante, magnifico e terribile, che è stato per tre quarti di secolo l’alfa e l’omega di centinaia di migliaia di biellesi, diventa tema di acceso dibbbattito: che farne?

Noi di questo giornale abbiamo cercato di lanciare qualche sasso in piccionaia: trasferiamoci l’università dal culo di giove in cui l’abbiamo piazzata, portiamola, convitto e tutto, nel cuore della città con le centinaia dei suoi giovani, il corpo insegnanti e le compagnie cantanti di parenti, inservienti, avventori ed avventizi. Nessuna reazione: chi, in questa città, se la sente di dare un dispiacere a Luigi Squillario che dell’università a Occhieppo e dell’ospedale nuovo nelle paludi di Ponderano è il principale sponsor?  Proviamo con gli anziani, e apriti cielo!  Ci dicono che i vecchi (privi della protezione di qualche potente paraculo) puzzano, si cagano addosso, sono balenghi parkinsonizzati, amebe in carrozzella e in letti antidecubito; sono la morte, facciamoli crepare fuori dalla cinta daziaria così non disturbano. 

Piuttosto, ci dicono, mettiamoci i bambini che sono la vita, la gioia, la speranza, i colori, la pappa e la ciccia.  D’accordo, i bambini (supposto che in questa città continuino a nascerne) sono la vita, l’alfa;  gli anziani (che in questa città sono sempre di più) sono la morte, l’omega; gli studenti le altre lettere, un elemento di giunzione.  Lì dentro c’è posto per tutti.  Lì dentro per tre quarti di secolo sono andati in scena il miracolo della vita, la rappresentazione della sanità, la tragedia della morte.  L’alfa e l’omega possono continuare ad abitarci.  Vogliamo provare a parlarne ?

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