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Questa volta sono fiero della mia città

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Ci tocca di vivere, per vedere la speranza che effetto che fa. Ero distratto, da questo sguardo sulle speranze possibili, fino a mercoledì, quando mi si è inchiodato il fiato in gola dall’emozione. L’Ansa ha battuto una notizia e pubblicato una foto, per raccontare una storia e il suo così necessario lieto fine. Che quasi ancora non ci credo. Che quella lacrima mi è scesa davvero, e ancora ce l’ho dentro agli occhi.

Chi mi conosce sa che non vivo di sentimentalismi a buon mercato. È che qui dovrebbe davvero piangere un’intera città, la nostra città.  Con la comunità argentina in testa – così numerosa, tra l’altro, e un pensiero a José è necessità. E non è questione di incipit infiniti: è che davvero – ancora – non mi sembra vero e il pudore m’assale: Estela Carlotto, presidentessa delle “Abuelas de Plaza de Mayo”, le nonne da oltre 35 anni irriducibili testimonial della speranza alla ricerca dei nipoti rapiti dalla dittatura argentina e violentati della loro identità, ha ritrovato suo nipote!
So che sembra banale, ma so anche che non ho voglia di spendere queste due righe di giornale per spiegare meglio ciò che la storia avrebbe dovuto insegnarci.

Chi vuole se le cerchi, le spiegazioni. Ché questa è l’ora della gioia: d’aver capito che la speranza ha un senso. E che la lotta la riempie di significato. Speranza e azione: l’unica via possibile per la redenzione del dolore. Che lezione di vita ci danno queste donne, nonne per vocazione. E vi racconto – un po’ male e ad alta voce, lo riconosco – questa storia perché è stata, per un giorno, anche la storia di questa città. La nostra città.

Capita di rado, ma questo giro sono fiero di me e della mia città, e lei, Estela, è un simbolo di cui abbiamo un disperato bisogno. Dodici anni fa, in un lunedì di novembre dei nostri, Estela fu ospite, di questa città. Lo fu del Sindaco e del Presidente della Provincia. Lo fu di tutto il Consiglio Comunale. Lo fu dei cittadini in un incontro in cui raccontò la sua storia, interrotta un giorno e riconquistata con la speranza. Lo fu chiosando così il suo racconto: «Non vogliamo morire senza abbracciare i nostri nipoti». Ecco, Estela. La vita non ti ha fatto un regalo: ti ha reso il giusto. E a noi, ha insegnato che vale ancora la pena sperare.
Dedicato a: gli abitanti della striscia di Gaza; i rifugiati politici d’ogni latitudine e colore; le vittime d’ogni guerra e i loro sopravviventi. E a chi è senza speranza, perché non è mai vero.

Lele Ghisio

L’articolo di Lele Ghisio è stato pubblicato sulla Nuova Provincia di Biella in edicola ieri.

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