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Quando mi sento un prodotto sottomarca del discount

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Premetto che questa settimana non ho idee che frullano in testa. Il passaggio di Sir Halloween ha probabilmente portato via tutto, mia zucca compresa. Vorrei poter digitare quelle manciate di parole che minimamente si avvicinino all’interessante, ma sono presa male, non so il perché o il per come, ma non ce la faccio a fare andare il cervellino. Fisso da giorni il monitor del portatile, ma nulla, il nulla. Balle di fieno nel deserto dell’Arizona. Sarà l’inverno alle porte, sarà il costante ronzio della stufetta che ho acceso per non morire assiderata, saranno le giornate uggiose che ci ha riservato Biella in questa settimana di inizio novembre, sarà il freddo che penetra la mia pancerina da nonna in caldo cachemirino, costringendomi a correre al cesso ogni paio d’ore, tempo zero, piegata in due dalle coliche. Golosa e asciutta, nonostante le decine di dolci che faccio fuori quotidianamente, ecco svelato l’arcano. Che palle, ordinaria amministrazione dei mesi invernali. Che palle. Certi giorni perdo addirittura il conteggio di quante volte riesco a pensare e pronunciare queste fatidiche 8 lettere in 24 ore, calcolando che almeno 7 le dormo.

“Nessuno criticherà mai una donna perché pensa, finché l’oggetto dei suoi pensieri è un uomo”. Mi è capitato tra le mani questo aforisma, e credo che Virginia Woolf non mentisse. Quale pensiero verrà, invece, lasciato scritto ai posteri riguardo a chi attinge alla felicità altrui per riemergere dalla morsa alienante della quotidianità e respirare ancora? Nessuno vuol la regressione, ma tutti paiono gamberi. Io, a salvarmi da sola, non ci riesco, non lo so chi possa salvarsi da solo. Ci provo, ma come faccio, ebbra di speranze, quando lunghi musi, grigi e indifferenti mi sfiorano e se ne vanno? Dove si è nascosto il sole dei sorrisi spontanei, che mi e ci caratterizzavano? Questa giungla è un macigno per chi vive empaticamente come me. Sono triste, e non perché occhiaie, pallore e tormento alla Doherty siano cult in questo momento così alternative. Odio il menefreghismo che ci contraddistingue, odio l’impassibilità che ci assilla. Che cosa mi manca? Che cosa non mi manca? Non saprei darmi risposta.

Una persona che accetta i miei difetti e la mia pancerina di lana l’ho trovata, una famiglia che mi lascia libera di vivere le mie scelte in qualsiasi ambito, pure. Perché dunque é cosi difficoltoso limitare le preoccupazioni alla mia età? No, non parlo di luce, gas, benzina e telefono. Ho tutta la vita per essere oberata di pensieri. Mi chiedo come sia possibile che io non riesca a godere della spensieratezza che dovrebbe appartenermi. Mi chiedo come sia possibile che io non riesca più a divertirmi in mezzo agli altri. Mi chiedo come certi casi umani della mia età possano avere bambini a carico, se non sanno badare nemmeno al gatto o a quel che hanno dentro agli slip. Mi chiedo come cosiddetti “genitori” possano fare uscire le loro figlie quattordicenni in mutande, il sabato sera, per le vie della città. Mi chiedo come l’alitosi di un tabagista possa infastidirmi più dell’odore di sudore post maratona. Mi chiedo come questi miei interlocutori possano non accorgersene, e non ovviare a ciò con una mentina. Mi chiedo come si possa nutrire il proprio ego a pane, Nutella e like sui social, quando nella vita reale ci si calpesta a vicenda nel solito locale, obliando un semplice saluto. Mi chiedo come certe ragazze possano, nel 2014, avere sopracciglia così inguardabili, che neppure la Delavigne di turno delle riviste patinate potrebbe permettersi: non mi risulta esserci la nuova testimonial Burberry qui a Biella. Mi chiedo come sia possibile io riesca a farmi consapevolmente queste domande, eludendo l’overdose da Xanax.

Crisi di mezza età in anticipo? Premenopausa? Sarò meteoropatica, forse. Per citare Google, coloro che ne soffrono sono anzitutto i neurolabili, cioè quei soggetti che affrontano con una certa emotività ingiustificata tutti i momenti della vita: in pratica, coloro che hanno turbe a carico del sistema nervoso. Ehmm, okey. Credo, piuttosto, si tratti di una più banale e avvilente insoddisfazione giovanile, di cui, senza dubbio, non sono l’unica vittima. A cosa sia dovuta non lo so, o forse lo so, ma fare finta di non sapere è la triste regola del mio Monopoli. Se solo aprire gli occhi, certe mattine, fosse più stimolante. Se solo, per farsi notare, bastasse una lingua lunga connessa al cervello, e non gambe per superare il metro e 70. Se solo l’educazione fosse in vetta alla classifica dei pregi più venduti. Se solo noi giovani biellesi fossimo più tutelati, come singoli e come prossimo nucleo familiare. Se solo recidere cordoni ombelicali e spiccare il volo, senza lacrime da sepoltura, fosse normale routine come avviene nei paesi nordici. Se solo la meritocrazia servisse a qualcosa di concreto, oltre ad arricchire di un paragrafo il vocabolario della lingua italiana. Se solo ci si guardasse allo specchio con sguardo meno pieno di noi stessi, forse allora cambieremmo estetista, non gireremmo con sopracciglia ridicole su e giù da Via Italia, e Biella sarebbe finalmente una città migliore.

Silvia Serralunga

La rubrica di Silvia Serralunga viene pubblicata sulla Nuova Provincia di Biella in edicola al sabato a solo 1,20 euro.

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