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Nel vecchio ospedale resta l’anima di chi l’ha vissuto

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Immagino, cerco di camminare tra queste mura e sentire le parole, le speranze, le paure, gli adiii.

Immagino, cerco di camminare tra queste mura e sentire le parole, le speranze, le paure, gli adiii.

Cerco di pensare a quando tutto sarà finito, a quella sera in cui l’ultimo dei pazienti, l’ultimo dei tecnici e degli operai avrà abbandonato le mura del vecchio ospedale.

Riesco a vedere nitido un raggio di sole al tramonto che tagliando il tetto della casa davanti penetra nei reparti, cadendo sui silenzi e sui pavimenti lasciati come la neve al prato.

Sono sempre stato convinto che ogni oggetto, ogni luogo assorbe i pensieri che l’hanno fatto oggetto di tante menti, di tante anime.

Sto camminando nella penombra di un pomeriggio invernale tra i corridoi e sento, sento il vagito dei tanti bambini che sono nati tra queste mura, leggo sulle piastrelle le impronte scritte dai cuori dei padri in attesa, delle mamme stravolte e felici.

Sento il silenzio di tutti i piccoli angeli che non hanno visto il mondo, che sono caduti come foglioline in primavera, proprio mentre l’estate era li tra un tuono e il calore di quell’attesa al casello della vita, dove ci sono code in entrata e in uscita.

Cammino e mi sento travolto dal quel nodo che prende la gola quando tutto è finito per sempre, quando le impronte si perdono in un silenzio improvviso che dura un attimo lungo decine di giorni o minuscole frazioni di secondo; un attimo dove precipita il cielo, la terra, il mondo che avevamo creato insieme, in quel attimo che non si è più insieme, in quel momento dove un pianto è il mondo per qualcuno e solo uno sguardo incerto sulla sofferenza di chi passa e guarda ma non può capire.

Sento le parole correre, spinte da un vento fatto di sospiri, respiri profondi, respiri strozzati.

Mamma, papà… sento migliaia di mani passare su migliaia di fronti, sento migliaia di mani stringersi forte, tenersi, non lasciar andare e dover arrendersi a quello spazio vuoto che scompare agli occhi del mondo per riempirci il cuore di malinconia e tristezza.

Continuo a camminare anche se è freddo ora che hanno spento le luci tra quelle mura che sanno di tutto e di nulla, di pianto e di gioia, di vita e di morte.

No, non sono pensieri che fanno male all’anima. E’ malinconia pura, nostalgia senza senso e fine, vita allo stato gassoso, immagini proiettate dal cielo attraverso un raggio di sole, l’ultimo della giornata

Non so cosa sarà di queste stanze ma qui non è un posto qualunque. Qui ci siamo passati, qui siamo nati, qui ci siamo ridonati alla vita, qui siamo arresi.

Non è un posto qualunque. Giro lo sguardo verso il cortile. Mi è sembrato di vedere due anziani passeggiare mano nella mano. Esco di corsa fuori. La brina è adagiata su di una panchina e due rami spogli si tengono stretti. Loro hanno visto e sentito tutto… è giusto lasciarli riposare in pace.

Lascio che entri la notte. Nessun cuore o libro d’uomo potrà ospitare così tante impronte di attimi che non torneranno più.

Alberto Scicolone