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L’Unione Industriale vuole la Fondazione

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Sarà una battaglia all’ultimo sangue, pardon all’ultimo voto. Il 30 aprile – la data non è ancora ufficiale ma quasi certa – la Fondazione Cassa di Risparmio di Biella dovrà scegliere il successore di Luigi Squillario non più rieleggibile.

Sarà una battaglia all’ultimo sangue, pardon all’ultimo voto. Il 30 aprile – la data non è ancora ufficiale ma quasi certa – la Fondazione Cassa di Risparmio dovrà scegliere il successore di Luigi Squillario non più rieleggibile. I candidati sono due, il notaio Paolo Tavolaccini, espressione dell’attuale gestione, e Franco Ferraris appoggiato dall’Unione industriali che vuole mettere mano sul “tesoretto”, o per meglio sul patrimonio, della Fondazione.  
Vediamo innanzitutto il profilo dei due candidati. Di professione notaio, Tavolaccini è un personaggio pubblico ampiamente conosciuto, con esperienza ultraquinquennale dell’attività della Fondazione mentre Ferraris,  imprenditore sicuramente molto capace (come noto è amministratore delegato di alcune aziende del gruppo Zegna), è entrato in Fondazione da qualche settimana ma  non ha ancora partecipato ad un solo incontro istituzionale, quindi con poca  conoscenza della gestione di un ente che non ha niente a che vedere con le classiche aziende.

Fino a poco settimane fa sulla carta sembrava – anche grazie alla maggiore disponibilità di tempo di Tavolaccini – non esserci partita. Il notaio ha un passato di attività politico sociale tutto rivolto al territorio, proviene dalle fila del cattolicesimo popolare, è sostenuto dalla fiducia del presidente uscente, non è legato ad impegni istituzionali recenti e l’organismo che deve eleggerlo è per buona parte composto da persone provenienti da quell’area, in particolare i due sacerdoti indicati dal vescovo Gabriele Mana.  Questo fino a ieri, poi tutto è cambiato.

Da qualche mese infatti si stanno concretizzando iniziative ostili a Squillario e al suo lungo mandato, mentre le ipotesi su una cordata antagonista a quella dell’avvocato non sono più voci indistinte ma qualcosa di sempre più concreto. L’attuale responsabile della Fondazione era stato “avvertito” fin dal settembre scorso di non avere più la maggioranza dell’organo di indirizzo e che quindi avrebbe dovuto adeguarsi per le future scelte istituzionali. La prima occasione di verifica del nuovo status quo si è presentata due mesi fa, in occasione del rinnovo di alcuni membri dell’organo di indirizzo, ovvero due indicati dal vescovo, due dalla Camera di commercio e tre cooptati (tra i quali lo stesso Tavolaccini).  L’obiettivo era di nominare, fra i cooptati, tre nuovi membri anti-Squillario, evitando la riconferma di Tavolaccini e spianando la strada a Ferraris che nel frattempo entrava indicato da Camera di Commercio. Tentativo sventato, nel silenzio e senza polemiche, e scontro rinviato al rinnovo della presidenza.
Dunque, chi troviamo dietro queste manovre? “Il centrodestra”, è la prima risposta che viene in mente. Ma non è proprio così; quella componente politica – agonizzante – non è in grado, in questa fase, di esprimere un protagonista; semmai farebbe da portatrice d’acqua, pronta a goderne gli effetti se mai il progetto andasse in porto.

Chi spinge per un radicale cambiamento è l’Unione Industriale. Per l’Uib, o per il ristretto gruppo che si interessa di queste cose, vorrebbe dire mettere le mani, finalmente, sul tesoretto della Fondazione, dal quale finora era tenuta separata da una mal sopportata zona di rispetto (memorabile l’accusa a Squillario di “sparmigianare” i contributi perché destinati, in piccola parte, anche al sostegno delle attività territoriali minori; che l’avvocato, invece, ha sempre difeso). Ma soprattutto significherebbe impadronirsi di Città Studi per la quale è già pronto un progetto che prevede tabula rasa degli attuali corsi e del “passato modo di gestire” a favore della realizzazione di un centro nazionale di tessile e moda, finanziato con una ventina di milioni di euro presi dai fondi speciali europei. Questo, ovviamente a discapito dell’attuale ruolo dell’università che a oggi conta 1.700  studenti oltre ai cinquemila giovani che frequentano la biblioteca (quando la Fondazione subentrò all’Uib nella gestione del sito gli studenti non arrivavano a 300 e il complesso strutturale era incompleto e scarno rispetto all’insieme che oggi viene ammirato da chi viene da fuori).

Togliere risorse a Città studi per girarle all’ennesimo “coso” targato Uib non fa dormire sonni tranquilli. Vengono infatti in mente passate e recenti iniziative ideate in via Torino: il famoso Babb, quaranta milioni chiesti alla Regione e subito tre e mezzo alla Fondazione che oggi avrebbe il danno finanziario e la beffa di possedere un sito fatiscente; e poi la famosa “Art of excellence”, otto milioni ottenuti dalla Regione con l’interessamento dell’allora consigliere regionale Wilmer Ronzani e tutti sanno com’è andata a finire. E poi “Filo di Lana” e “Officina 2020”, 150 mila euro dalla Camera di commercio di cui non se ne sa più nulla.

Nella sua scalata alla Fodnazione l’Uib conta ovviamente sul sostegno del centro destra, i cui rappresentanti però non sembra che siano poi tanto d’accordo a distruggere il certo che si svolge in Città Studi per l’incerto di un progetto tutto da verificare.

A questo punto nella scelta del nuovo presidente, decisivo sarà l’atteggiamento che terranno i rappresentati della diocesi, i due sacerdoti da essa indicati e gli altri membri che sono culturalmente sensibili alle indicazioni che provengono dal mondo cattolico, soprattutto sotto l’aspetto della solidarietà, la promozione  delle persone in difficoltà, delle iniziative di sostegno al disagio ed alla inclusione sociale.

Quante possibilità ha l’Unione industriale di portare la diocesi nel proprio campo? Giungono voci che via Vescovado (quindi lo stesso vescovo) sarebbe allettata da promesse di particolare sensibilità nei confronti delle attese della chiesa locale, anche se appare difficile fare di più di quanto già ora la Fondazione ha fatto per Oropa e in giù fino alle piccole iniziative parrocchiali e/o solidaristiche (un’attenzione che già oggi vale circa un milione l’anno). Questo per quanto riguarda le gerarchie.

Di contro l’ambiente cattolico, che ha sempre riconosciuto Squillario come riferimento politico sociale sicuro e trasparente, ne sarebbe disorientato.  La stessa opinione pubblica che, a prescindere dalle posizioni politiche e con le dovute eccezioni, riconosce come  positiva l’azione dell’avvocato,  sarebbe sconcertata dall’improbabile convergenza dei poteri forti locali. Dovunque, nelle Fondazioni dove è rappresentata, la chiesa locale ha sempre giocato un ruolo di collante unitario, puntando all’unanimità e non certo alla divisione. Una diversa opzione porrebbe  anche interrogativi politici, da non sottovalutare.

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